A stabilirlo la corte d'assise d'appello di Palermo che ha confermato l'assoluzione per Valentina Pilato, la donna che abbandonò la bimba il 24 novembre 2014. Per lei è stata disposta la libertà vigilata per tre anni, la difesa: «Attendiamo le motivazioni, valuteremo successivamente se fare ricorso contro questo provvedimento».
Gettò la figlia neonata nel cassonetto Assolta in appello per vizio di mente
Assolta perché «incapace di intendere e di volere». A stabilirlo la corte d’assise d’appello di Palermo che ha confermato l’assoluzione per Valentina Pilato, la donna che gettò la figlia appena nata in un cassonetto il 24 novembre 2014. Per lei è stata disposta, però, la libertà vigilata per tre anni. La corte aveva deciso di risentire tutti i consulenti e periti che si sono pronunciati sull’imputata nel primo grado di giudizio. Il processo si è incentrato infatti sulle perizie riguardo le condizioni psichiche della donna. Decisiva quella di Francesco Bruno e Maria Pia De Giovanni disposta dalla Corte. Per loro, quando gettò la figlia appena nata nel cassonetto della spazzatura l’imputata non era in grado di intendere e volere. Si liberò del feto come si fa di «un oggetto pericoloso che la mente della madre si rifiuta di considerare un figlio». Per il criminologo e la psichiatra, Pilato ha un disturbo grave dell’umore che si «accompagna a vissuti dissociativi e paranoidei di tipo cognitivo anancastico».
Questa condizione era presente al momento dell’infanticidio e al momento del parto avvenuto «dopo una rilevante negazione della gravidanza e di qualsiasi reazione affettiva ad esso legata». La perizia sulle condizioni di Valentina Pilato (giudicata nell’ultimo esame non pericolosa) si è resa necessaria dopo il contrasto tra le precedenti due relazioni degli esperti. Secondo i consulenti del gip, la donna sarebbe stata capace di intendere e volere perché aveva un disturbo di adattamento che non ne avrebbe inficiato la lucidità. Di parere diametralmente opposto i periti della difesa. Inizialmente i pm avevano contestato alla giovane mamma il reato di infanticidio, l’imputazione, però, è stata poi modificata. Pilato, che ha tre figli, dopo il trasferimento del marito in Friuli, nell’Esercito, aveva dovuto lasciare il capoluogo per trasferirsi a Gemona del Friuli, in un piccolo paesino di provincia. Il giorno prima del parto, era tornata a Palermo con un volo anche perché – così ha raccontato – non sapeva di essere giunta già al nono mese. Avrebbe nascosto la gravidanza al marito perché sapeva che non sarebbe stata ben accetta.
«La sentenza di assoluzione nel merito è totale – ha commentato l’avvocato Enrico Tignni – i giudici hanno applicato la libertà vigilata per tre anni, una misura di sicurezza che sarebbe ancorata a una presunta pericolosità sociale che è slegata dalla condanna. Questa misura da un punto di vista processuale, però, cozza un po’ con quelle che sono le emergenze attuali: anche perché la sentenza di primo grado aveva assolto Valentina Pilato e non aveva applicato nessuna misura di sicurezza in quanto non l’aveva ritenuta pericolosa. Ovviamente la pericolosità è riferita ai figli, ma allora Valentina non li vedeva. Adesso, invece, quando c’è stata la sentenza di assoluzione, il Tribunale per i minorenni ha acconsentito gradualmente a Valentina di stare con i suoi bambini. Ad oggi, quindi, non capiamo quali siano gli elementi che hanno spinto la corte a disporre la libertà vigilata. Ad ogni modo – conclude – leggeremo le motivazioni e valuteremo successivamente se fare ricorso contro questo provvedimento».