Fino a Compostela alla ricerca di sé

Con Tino Franza ho camminato. L’ho proprio conosciuto camminando, un giorno in cui abbiamo fatto una passeggiata nelle campagne di Noto che lui ama tanto. L’arte di camminare non è di tutti ma lui la possiede, non mi stupisce perciò che abbia deciso di scrivere due libri su questa arte: uno più scientifico, sulle trazzere dell’Agro Netino, e uno più romanzato sul Cammino di Santiago. Non mi stupisce, perché spesso viaggiare e scrivere mi hanno lasciato lo stesso intenso piacere: la penna corre sul foglio come il viandante per le strade, diceva Calvino.
 
In queste due azioni, viaggiare e scrivere, c’è tutta la ricerca dell’uomo di trovare quel senso di sé che sempre gli sfugge ma che può apparirgli meno fuggevole lasciando tracce. In fondo, viaggiare è scrivere passi sul libro del mondo. Uno dei pregi più grandi del racconto di Tino (La lunga marcia, Viaggio sentimentale a Santiago de Compostela, A&B Editrice, 2008, €. 13,00) è proprio nella ricerca di chi ha scritto e viaggiato prima di lui. La vita ogni tanto è come un romanzo, spesso come tanti romanzi. I riferimenti a grandi viaggiatori e scrittori sono puntuali, all’inizio di ogni capitolo, e sembrano conoscere il percorso ancora prima di lui.
Kerouac, per esempio, Sulla strada, (p.61) ‘Sapevo che a un certo punto di quel viaggio ci sarebbero state ragazze, visioni, tutto; sapevo che a un certo punto di quel viaggio avrei ricevuto la perla‘… Ogni viaggio regala la sua perla non appena il viaggiatore è pronto ad accoglierla e, per Tino, la perla è una ragazza che lui chiama L.! Si capisce, ancora prima della citazione di Kerouac, che la stava giusto aspettando perché questa L puntata arriva dopo una serie di appuntamenti mancanti con altre ragazze che avevano in qualche modo incrociato il suo cammino e che mi hanno fatto pensare a una bellissima poesia di Antoine Paul, poi musicata da Fabrizio De Andrè e George Brassens, che racconta molto dello stato d’animo del protagonista nella prima parte del libro. S’intitola Le passanti,
 
Io dedico questa canzone/ ad ogni donna pensata come amore/ in un attimo di libertà/ a quella conosciuta appena/ non c’era tempo e valeva la pena/ di perderci un secolo in più./ A quella quasi da immaginare/ tanto di fretta l’hai vista passare/ dal balcone a un segreto più in là e ti piace ricordarne il sorriso/ che non ti ha fatto e che tu le hai deciso/ in un vuoto di felicità./ Alla compagna di viaggio/ i suoi occhi il più bel paesaggio/ fan sembrare più corto il cammino/ e magari sei l’unico a capirla/ e la fai scendere senza seguirla/ senza averle sfiorato la mano./ A quelle che sono già prese/ e che vivendo delle ore deluse/ con un uomo ormai troppo cambiato/ ti hanno lasciato, inutile pazzia,/ vedere il fondo della malinconia/ di un avvenire disperato./ Immagini care per qualche istante/ sarete presto una folla distante/ scavalcate da un ricordo più vicino/ per poco che la felicità ritorni/ è molto raro che ci si ricordi/ degli episodi del cammino./ Ma se la vita smette di aiutarti/ è più difficile dimenticarti/ di quelle felicità intraviste/ dei baci che non si è osato dare/ delle occasioni lasciate ad aspettare/ degli occhi mai più rivisti./ Allora nei momenti di solitudine/ quando il rimpianto diventa abitudine,/ una maniera di viversi insieme,/ si piangono le labbra assenti/ di tutte le belle passanti/ che non siamo riusciti a trattenere‘.
 
Così tutto il libro è permeato da questa nostalgia per l’amore e dall’oscillare del protagonista tra l’esigenze del mondo terreno e le aspirazioni per quello spirituale che il Cammino di Santiago, il cammino per eccellenza, pone con tutta evidenza. Da un lato, i dolori, il cibo, le allegre compagnie e, dall’altro, la forza, la costanza, la fede. Lo spiega bene l’autore quando racconta che nei due modi di viaggiare verso Santiago, quello più agnostico e quello più religioso, ritrova sé stesso (p.63) ‘assetato, affamato di tutto, della vita gaudente e della vita ritirata, della spensieratezza e della serietà, del mondo terreno e di quello spirituale, della carne e dello spirito’.
 
Uno dei pregi principali del racconto è dato proprio dalle riflessioni del suo protagonista, dalle sue debolezze e dalle indecisioni che ce lo rendono così vicino, così umano come siamo tutti. L’autore è scettico verso Dio, più volte dice che la sua vita ha preso ‘questa piega’, ma è d’accordo con Le Breton quando scrive che davanti alla natura immensa l’uomo si ritrova immerso in una ‘religiosità personale diffusa ma potente’. E nel momento di più forte coscienza spirituale di tutto il libro, scrive (p.78) ‘probabilmente Dio è là dove ci si trova, anzi là dove noi lo facciamo entrare, svolgendo il nostro compito, vivendo le relazioni con gli altri uomini, le cose. Tutto il problema sta forse nella fedeltà a questo compito, nella nostra risolutezza…‘. Ma queste fedeltà e risolutezza non le sceglie, anzi, confessa (p.129 – 130) ‘Debbo francamente ammettere che non mi sento diverso: che il lato epicureo ha continuato a prevalere su quello stoico; che l’identità è rimasta fluttuante come prima; e, richiamando un felice pensiero di Herman Hesse, che gli appagamenti saziano e ogni meta raggiunta non è la meta‘.
 
L’insegnamento, però, sembra comunque tratto e, non a caso, Tino sceglie ancora una volta le parole di qualcun altro prima di lui, Seneca, Lettere a Lucilio, (p.129) ‘ti meravigli come di un fatto strano di non essere riuscito a liberarti della tristezza e della noia, malgrado i lunghi viaggi e la varietà dei luoghi visitati. Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi‘. Per comprendere, in fine, che proprio nel riuscire a conciliare queste due tendenze, terrena e spirituale, è il vero senso del viaggio. Come già aveva capito Tino Franza in una sua poesia giovanile (p.102): ‘Ero Caos quel tempo io/ ero intero allora io‘. Unire la carne allo spirito è forse il segreto di quella interezza? Il libro di Tino lascia aperta la domanda. Una possibile risposta, però, si può trovarla nel Libro di San Giacomo che un anonimo autore scrisse molti secoli fa: l’importante è ‘viaggiare con ragionevoli intenti, con tanta abilitade per comprendere lo mundo e le genti e scoprire le umane debolezze e le magnifitudini dei popoli, che è già grande patrimonio d’intelletto‘.


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