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Siccità, scoppia la guerra dell’acqua. Situazione drammatica a Caltanissetta e nell’Agrigentino

«Non ci resta che alzare gli occhi al cielo ogni mattina e sperare che sia nuvoloso». Parole di Walter Tesauro, appena eletto sindaco di Caltanissetta e alle prese con una grana non da poco: la più grande emergenza siccità degli ultimi decenni, la stessa che sta mettendo in ginocchio l’intera Isola. Nel capoluogo nisseno l’acqua è razionata ormai da febbraio, ma adesso ci sono interi quartieri a secco, dove sono stati necessari interventi con le autobotti per evitare il peggio. E il comparto agricolo è ormai allo stremo. Non va meglio neanche nelle altre province, come nell’Agrigentino, dove in alcune zone l’acqua arriva addirittura una volta ogni 18-20 giorni. Ed è scoppiata la guerra dell’acqua: una contesa tra poveri, che non promette niente di buono.

Caltanissetta

«Mettiamo subito le cose in chiaro, noi siamo l’amministrazione, sollecitiamo Caltacque, mi sento con loro dieci volte al giorno, ma la distribuzione idrica la fanno loro. Ripeto, noi sollecitiamo, possiamo fare solo questo». La voce è tirata, gli impegni sono tanti e quasi tutti riguardano l’emergenza. Walter Tesauro, primo cittadino di Caltanissetta sembra piuttosto provato, ma l’emergenza non consente riposo. «La crisi idrica è un dato che ha investito tutti – dice a MeridioNews – anche Caltanissetta e nei paesi limitrofi. Il livello pressorio è basso e non riesce a rifornire con facilità tutte le utenze, specie quelle in collina, come in contrada Niscima, dove non hanno avuto acqua. Ho sollecitato Caltacque, quanto meno per garantire quello che è un bene di prima necessità. Da lunedì a sabato portano acqua con le autobotti e questo servizio continua regolarmente per rifornire le utenze. In contrada Poggiofiorito alcuni attingono dalla rete idrica, perché c’è una suddivisione temporale, mentre altri, quattro utenze su venti, per un problema pressorio entreranno nella turnazione delle autobotti».

Cercasi autobotti disperatamente

Autobotti che sono però in un numero limitato, ma come specifica il sindaco «La protezione civile ci ha autorizzato a comprare nuovi mezzi e con quelli dare una mano importante, per aumentare le turnazioni» prosegue Tesauro. Ma l’impresa non è così semplice: «Sono introvabili! Ne abbiamo cercate in tutta Italia e ne abbiamo trovata soltanto una, a un costo esorbitante e che non poteva essere utilizzata per quello che ci serviva».

Agrigento

Nella provincia della Valle dei Templi non va meglio, anzi, in città l’acqua è razionata e in alcune parti, soprattutto nel centro storico, anche qui per un fattore di bassa pressione, l’erogazione non arriva a tutti e in provincia non va certo meglio: da Favara a Ribera, passando per Ravanusa il razionamento dell’acqua prevede turni che vanno dai 18 ai 20 giorni. «Non abbiamo mai visto una cosa del genere, la situazione è drammatica» racconta un residente, mentre a Cammarata il sindaco ha persino requisito un pozzo d’acqua non potabile nella pertinenza di un privato cittadino per consentire di abbeverarsi agli animali delle aziende zootecniche della zona.

La caccia ai pozzi e la guerra dell’acqua

E i pozzi sono il nucleo centrale dell’azione delle amministrazioni: tutti sono in cerca di acqua, di falde nascoste, si inizia a scavare. «Avrò un incontro con il prefetto, perché abbiamo fatto col genio civile un censimento per trovare eventuali pozzi da cui attingere acqua – dice ancora Tesauro – Ormai anche un litro è fondamentale. Molti parlano di sorgive, di acqua che si perde, ma non tutta è utilizzabile: da alcune sorgive è impossibile attingere perché togliere acqua potrebbe significare rischi di dissesto idrogeologico, mentre da altre sgorga acqua altamente sulfurea, che non può essere neanche raccolta dalle autobotti». Intanto nell’Agrigentino, «chi ha un pozzo se lo tiene stretto – aggiunge il residente di Favara sentito da MeridioNews – e molti negano di avere acqua, non dichiarano o nascondono». E questo è solo uno degli aspetti della guerra dell’acqua, una guerra per la sopravvivenza che mette contro famiglie e persino Comuni, come sta succedendo a Santo Stefano Quisquina, sempre nella provincia agrigentina, paese con molte fonti naturali, che sono gestite direttamente dall’amministrazione comunale. Lì l’ex provincia vorrebbe scavare un altro pozzo per attingere acqua utile al circondario, ma dal Comune sono pronti a fare le barricate perché la loro sorgiva non abbia cali.

I dissalatori

Sono i dissalatori la speranza a cui si aggrappano le amministrazioni. Le parole di Renato Schifani sugli importanti investimenti di fondi del Fsc stanziati per la Sicilia hanno acceso una speranza. «Se riattivassero il dissalatore di Gela – spiega Tesauro – avremmo molti meno problemi in tutta la provincia e potremmo anche dare respiro alle falde», ma i tempi sono lunghi e le strutture esistenti praticamente inutilizzabili. Inoltre ci sono altri due problemi non da poco: uno riguarda le condutture, l’altro l’abusivismo. Quando infatti il dissalatore di Gela era in funzione, su cento litri di acqua che lasciavano la struttura, ne arrivavano a destinazione più o meno la metà, questo a causa non solo delle condutture colabrodo, ma soprattutto per il gran numero di allacci abusivi, specie a uso agricolo. Un fenomeno che si ripercuote anche sulle varie condutture, tanto che nel 2019 persino il ministero dell’Interno fu costretto a richiamare i prefetti di Agrigento e Caltanissetta per un giro di vite che riguardava la conduttura Gela-Aragona, dove secondo il Viminale: «Sono state evidenziate le criticità sull’erogazione dell’acqua agli abitati di Gela, Butera e Licata, a causa della presenza nella condotta di allacci abusivi di acqua ad uso potabile per consentire l’irrigazione di terreni e serre, talune in aree demaniali e prive di autorizzazioni».

E siamo ancora a metà dell’estate.


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