Elementari: non ci resta che piangere

Perché piangere? Perché il passo successivo sarà sicuramente il ritorno alle bacchettate sulle nocche, come quelle che ricevevano i nostri nonni quando non sapevano rispondere. L’art. 9 della Costituzione italiana dice:“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.” Ma sembra che il governo non ne tenga conto, a quanto pare, e che lasci la libertà di creare leggi in proposito a persone del tutto incompetenti. Tanto per capire fino a che punto stiamo arrivando, e quanto la discussa legge Gelmini possa rovinare la già compromessa situazione culturale italiana, parliamo un po’ di scuole elementari. È bene ricordare che è da lì che inizia il percorso dell’individuo verso l’istruzione e la consapevolezza, quindi non sottovalutiamone la situazione.

Il modello di scuola elementare italiano è valutato positivamente in tutta Europa. Da decenni infatti nel nostro paese è sempre stata molto più alta l’adesione alle scuole elementari pubbliche rispetto a quelle private. Ci sarà un motivo. Gli insegnanti si ritrovano ad affrontare l’arduo compito di seguire sin dall’inizio bambini di cinque/sei anni, compito che richiede collaborazione, possibilità di confronto, sostegno, attività di gruppo. Ciò è stato finora reso possibile grazie all’organizzazione della scuola in moduli di apprendimento, con diversi maestri a seconda delle discipline di insegnamento. In questo modo è stata garantita agli alunni un’appropriata preparazione, e gli insegnanti sono riusciti a raggiungere con dovizia e capacità il loro obiettivo, almeno nella maggioranza dei casi.

Ma se c’era una cosa di cui potevamo andare fieri, ecco che puntualmente viene rovinata. Solo pochi punti della legge basteranno per avere un’idea di come il ministero dell’istruzione intenda migliorare la scuola.

In primis: si ritorna al maestro unico, figura superata ormai da più di vent’anni, con il conseguente licenziamento di circa 87.000 insegnanti. Il maestro unico dovrà: 1) essere una figura di riferimento per gli alunni, 2) curare i singoli scolari uno per uno garantendo l’ordine nella classe e la chiarezza degli obiettivi, 3) curare i rapporti con le famiglie, 4) essere docente di tutte le discipline previste nei 5 anni, comprese l’informatica, e aggiornarsi su tutto.

Insomma, un insegnante universale, inscindibile ed eterno.
Ma c’è di più. Il nostro maestro unico si ritroverà a badare ad una classe non di 15 o 20 bambini, bensì di 30. La ciliegina sulla torta? Non più classi miste, ma separazione tra bambini stranieri, disabili e con difficoltà, che finora avevano avuto la guida del maestro di sostegno e la possibilità di relazionarsi con gli altri. Verranno raggruppati in classi distinte, senza permettere nessuna integrazione sociale. Quale sarà la naturale conseguenza di una trovata tanto geniale? Mi viene in mente solo la parola “ghettizzazione”. Ma non vi allarmate: ci saranno i grembiulini a rendere tutti uguali, no?

Viene così eliminata la pluralità docente, perno delle scuole elementari, che permetteva a maestri qualificati di approfondire la conoscenza disciplinare, di avere le compresenze, un confronto nelle modalità di insegnamento; viene tolta ai bambini l’opportunità di organizzare attività di arricchimento, uscite didattiche nel territorio, nei musei ecc., per evidenti questioni di sicurezza: un insegnante non può uscire dalla scuola con la classe avendo da solo la responsabilità di 30 alunni; anche i genitori non avranno più la possibilità di una pluralità di confronti, con un solo maestro come punto di riferimento.

L’obiettivo di una “riforma” tanto assurda e retrograda può essere solo quello di ridurre al minimo le assunzioni (ma perché i tagli li devono fare sempre a spese dell’istruzione?) e di dirottare l’utenza verso le scuole private, visto che quelle statali non potranno assicurare certo il meglio.

La scuola primaria è un punto di riferimento fondamentale nell’esistenza di un bambino. Se viene a mancare anche quella, allora sì che non ci faranno più impressione le percentuali di ragazzi demotivati, svogliati e vulnerabili.  Se i bambini venissero considerati come quello che sono, cioè esseri umani in formazione, con una loro psicologia complessa e delicata, e non come numeri, forse si eviterebbero riforme insensate come questa.

Privatizzazione, scuole di censo, insegnante unico, futura disoccupazione…Risultato: una società perdente, che non investe nell’istruzione, una società di ignoranti. Ma la ragione è sempre quella: una società con sempre minor cultura è più facile da governare. Circa ottant’anni fa, un capo del governo tristemente noto disse di Antonio Gramsci: “Dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”. Frase quanto mai attuale.


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