E se la Brexit si rivelasse un’opportunità per gli italiani? Il racconto di Francesco: «Qui non importa da dove vieni»

«Per noi non è semplice spiegare il fatto in Italia non c’è  lavoro, ancora più difficile spiegare che nella sanità italiana mancano circa 60mila infermieri ma non si fanno assunzioni e i pochi contratti stipulati restano comunque sospesi nel campo del tempo determinato». Dalla Gran Bretagna la prospettiva sul cosiddetto Belpaese è diversa. Nella quinta tappa del viaggio di MeridioNews tra i palermitani trasferitisi nel Regno Unito, l’osservazione arriva da Francesco: classe 1987, il giovane si è trasferito da poco. Sfidando la paura della Brexit.

Come mai, nonostante il momento storico di incertezza della politica britannica, la scelta è ricaduta proprio sull’Inghilterra? «Sono andato via da Palermo quasi cinque mesi fa insieme alla mia ragazza – racconta Francesco – e adesso viviamo e lavoriamo ad Exeter, una cittadina nel sud del Paese. Per quanto riguarda il motivo del mio, del nostro trasferimento, siamo partiti dal fatto che la situazione lavorativa era ed è tuttora lontana dalle mie aspettative, dalla possibilità di un lavoro correttamente remunerato in base al monte ore di lavoro previsto. Sotto un certo punto di vista posso ritenermi fortunato, io ho studiato per fare l’infermiere: qui faccio l’infermiere ed ho sempre fatto questo sin dal mio arrivo. C’è voluta una lunga preparazione prima di trasferirmi, ma ne è valsa la pena».

Il giovane, infatti, così come molti suoi coetanei ha progettato a lungo l’addio (o forse un arrivederci) alla sua terra, pianificandolo ancora prima di essersi laureato. «Nel mio caso specifico peraltro sono sempre stato supportato da un’agenzia che lavora con l’ospedale presso cui svolgo servizio – spiega ancora il giovane infermiere – Ho conosciuto i loro responsabili del reclutamento a Palermo, quando sono venuti nella mia facoltà a proporre il progetto di lavoro all’estero. Mi sono fatto subito avanti vedendola come una possibilità e loro hanno pensato a tutto: documenti, alloggio, spostamenti e corso di inglese. Qui sono comunque un dipendente statale e mi ritengo più che soddisfatto della mia scelta. Attualmente sono al livello più basso della scala gerarchica infermieristica – racconta ancora Francesco – Sono un infermiere non registrato, ovvero in attesa del riconoscimento ufficiale da parte dell’albo infermieristico inglese, che dovrebbe arrivare a breve. Però qui la realtà ospedaliera è parecchio differente da quella italiana, anche il ruolo dell’infermiere è parecchio diverso e ammetto che ancora faccio fatica ad abituarmici. In positivo».

L’ironia di Francesco si stempera quando gli si chiede se si sente più un migrante economico o un cervello in fuga: categorie che il giovane infatti rifugge per poi lanciare una riflessione più specifica sul proprio settore. «In Italia ho conseguito due differenti lauree triennali ma non mi sento un cervello in fuga, né tantomeno un migrante economico. E’ vero che anche in Italia c’è la possibilità di lavorare come infermiere, tuttavia non è convincente il teatrino creatosi intorno ai vari concorsi in giro per l’Italia, che ha trasformato anche questo settore in un business per gli enti di formazione e quelli specializzati nelll’assunzione del personale, soprattutto quelli meno trasparenti. Vorrei sottolineare come qui, in un centro relativamente piccolo dell’Inghilterra, la gente è curiosa di sapere come mai stiano arrivando tutti questi italiani in città».

Il rischio Brexit, dunque, è reale o solo percepito? «Sono venuto qui sapendo perfettamente ciò cui vado incontro – anticipa il ragazzo palermitano – Siamo già stati informati dall’ospedale che loro si occuperanno della sponsorizzazione per un eventuale visto: probabilmente sono fortunato perché lavoro in un ospedale pubblico e la mia è una professione richiesta, non so tuttavia come andrà a finire per una grossa fetta degli immigrati italiani su territorio inglese che non hanno un impiego pubblico o cinque anni di contributi pagati al governo britannico. È anche vero che, rispetto ai risultati elettorali, qui non sembra importare niente a nessuno se sono italiano, greco o tedesco, almeno questa è la sensazione che mi trasmette la gente comune con cui parlo ogni giorno». 

E cosa pensano gli stessi siciliani che vivono nel Regno Unito? «Conosco tanti palermitani che sono qui ormai da anni, molti dei quali occupano posizioni lavorative prestigiose: tutti o quasi hanno la certezza che il loro datore di lavoro si occuperà di tutto il necessario per evitare un contraccolpo negativo causato dalla Brexit. E moltissimi stanno intanto richiedendo il permesso di soggiorno provvisorio, sperando col tempo di renderlo permanente ed eventualmente prendere la cittadinanza britannica. Da quello che abbiamo capito un po’ tutti, probabilmente anche qui si farà come in Australia, Canada, Stati Uniti e tanti altri paesi del mondo – conclude Francesco – Vale a dire che ci sarà una stretta selezione e il singolo individuo dovrà possedere determinate skills, dettate dal fabbisogno del Paese per accedere, lavorare e risiedere, evitando la grande massa di lavoratori non specializzati arrivata negli ultimi anni da molti paesi facenti parte dell’Unione Europea».


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