«Bisogna cominciare a parlare di riconversione e di autogestione delle fabbriche, perché come ci ha insegnato il Movimento delle fabbriche argentine lavorare senza padroni è possibile». Stefano Quitadamo parla veloce, con una certa urgenza. Da Trezzano sul Naviglio, alle porte di Milano, è venuto in Sicilia per raccontare l’esperienza di RiMaflow– l’ex azienda che produceva componenti automobilistiche, fallita nel 2013 e da cinque anni occupata e riconvertita da un gruppo di ex operai.
«Siamo in una fase di urgenza – aggiunge – perché dopo cinque anni di autogestione della fabbrica veniamo accusati di non avere le licenze che nessuno ci ha concesso, nonostante le richieste sin dal primo giorno per svolgere le nostre attività lavorative. Ci occupiamo infatti della separazione meccanica della carta da parati che permette di riutilizzare la carta e la plastica come materie prime da reimmettere nel circuito». Dopo la tappa di ieri di Cinisi, per l’evento intitolato Disobbedire non è reato, oggi Stefano sarà a Catania insieme alla rete antirazzista. All’insegna della disobbedienza civile, il fil rouge che nel paese di Peppino Impastato ha legato l’esperienza di RiMaflow, quella di Turi Vaccaro (il pacifista No Muos che da agosto si trova recluso al carcere Pagliarelli) e di Mimmo Lucano (a Riace recentemente un gruppo di Radio Aut ha portato la propria solidarietà al sindaco della cittadina calabra e simbolo d’accoglienza).
Tutti modelli di partecipazione attiva, tutti modelli sotto attacco. «Si usa la legge per colpire quelle realtà che non stanno all’interno degli schemi, per cui si utilizza il codice penale o civile per bloccare tutto», dice ancora Stefano Quitadamo. A partire proprio da RiMaflow. A luglio la Direzione distrettuale Antimafia di Milano ha arrestato nove persone, indagandone altre dodici a piede libero e sequestrando conti correnti per due milioni e 100 mila euro, nell’ambito di un’inchiesta che ha individuato la via del “falso pvc” (poli vinil cloruro, una delle plastiche più comuni … ndr), venduto in Italia e all’estero a partire dai capannoni di Voghera e del Parco Agricolo sud. Le accuse sono pesanti: associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, alla creazione di discariche abusive, alla frode in commercio e al falso nelle pubbliche registrazioni. Tra gli arrestati c’è anche Massimo Lettieri, presidente della cooperativa che sorge dall’esperienza della fabbrica occupata e recuperata di Trezzano sul Naviglio. E che martedì rischia lo sgombero da parte di Unicredit, la banca diventata proprietaria dell’ex azienda in fallimento. L’esperienza di RiMaflow è dunque diventata una prova di resistenza, la cui genesi è stata raccontata da Stefano a un partecipato incontro presso l’ex casa del boss Tano Badalamenti.
«Un gruppo di ex dipendenti, dopo la chiusura dell’azienda e la delocalizzazione delle attività produttive, ha deciso di riprendersi la fabbrica che di fatto in decine di anni di lavoro aveva contribuito a costruire. Abbiamo trovato una fabbrica vuota, e ci siamo inventati delle attività che hanno permesso in questi cinque anni di fondare una cooperativa che ha permesso a sua volta di pagare stipendi dignitosi a venti operai e dunque venti famiglie. Alla cooperativa si sono avvicinati, utilizzando gli spazi della fabbrica, un centinaio di altri soggetti tra artigiani, falegnami e tappezzieri che hanno trovato all’interno della RiMaflow un luogo accogliente e basato sulla solidarietà e sul mutuo soccorso».
Non solo: tra le varie attività c’è anche la collaborazione con Libera, la valorizzazione della filiera alimentare a chilometro zero e la realizzazione dell’amaro partigiano. Ma il modello RiMaflow è un modello replicabile anche in Sicilia, dove sono numerosi i siti industriali ancora in attesa di riconversione (Gela e Termini su tutte)? «Assolutamente sì – dice Stefano – Lo dico con rammarico e non con orgoglio, ma RiMaflow è al momento l’unica realtà italiana di autogestione operaia senza padroni. Ed è una realtà che ovviamente si può e si dovrebbe replicare in tutte quelle vertenze ancora aperte. Dove c’è un padrone che chiude i battenti e delocalizza per guadagnare di più, con numerose famiglie operaie che attendono l’arrivo di un nuovo padrone o che le istituzioni facciano la propria parte, e che se va bene subiranno un peggioramento delle proprie condizioni di lavoro».
Al lungo incontro di Cinisi sulla disobbedienza civile Elio Teresi, del movimento No Muos, ha poi raccontato la storia di Turi Vaccaro. Che da più di 100 giorni è detenuto al carcere Pagliarelli di Palermo, e al quale tre giorni fa il tribunale di Gela ha inflitto un’altra condanna (resistenza aggravata a pubblico ufficiale) per la contestazione alla parata che celebrava il 70esimo anniversario dello sbarco Usa presso il litorale gelese. «Turi è stato il primo a invadere la base militare americana – ha detto Elio Teresi -, per il movimento la sua figura è stata sempre fondamentale. Da tutta Europa sono migliaia le lettere di solidarietà che gli stiamo facendo giungere in carcere, per lui si sono attivati scrittori come i Wu Ming e attori come Valerio Mastandrea. E Turi è il primo per il quale una condanna è diventata definitiva, mentre sul groppone degli attivisti in questo momento ci sono 190 denunce».
E tra i tanti interventi c’è stato spazio anche per Emiliano Puleo, attuale consigliere comunale a Partinico. Poco più di un anno fa il giovane si è ritrovato suo malgrado al centro delle cronache per l’arresto ad Amburgo, a seguito delle contestazioni al G20. «Quando un poliziotto tedesco mi arrestò e capì che ero italiano, gridò a un suo collega jackpot – dice Emiliano – C’era una vera caccia all’uomo, soprattutto verso spagnoli, portoghesi, italiani e greci che guarda caso sono i Paesi che più hanno vissuto la crisi economica. In Germania c’è una repressione fortissima, mentre qui in Italia siamo di fronte al governo più di destra dell’Italia repubblicana».
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