Il gip di Caltanissetta ha archiviato l’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta, avviata a carico di quattro poliziotti del pool – guidato dal superpoliziotto Arnaldo La Barbera – che indagò sugli attentati del ’92. L’indagine riguarda Giuseppe Antonio Di Ganci, Giampiero Valenti, Domenico Militello e Piero Guttadauro. I poliziotti, difesi dall’avvocato Giuseppe Seminara, erano accusati di concorso in calunnia: avrebbero costruito ad arte a tavolino una finta verità sulla fase esecutiva della strage imbeccando falsi pentiti come Vincenzo Scarantino e costringendoli ad accusare persone, poi rivelatesi innocenti.
Della stessa accusa rispondono i funzionari di polizia Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, per cui però la Procura ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio. I tre uomini, che facevano parte del gruppo investigativo Falcone-Borsellino, sono sotto processo davanti al tribunale nisseno. A svelare il depistaggio dell’inchiesta, costato l’ergastolo a otto mafiosi poi rivelatisi estranei ai fatti, è stato il lavoro dei pm nisseni che, dopo il pentimento del boss Gaspare Spatuzza, hanno riaperto le indagini sulla strage. Si è scoperto cosa accade davvero e che ruolo ebbe nell’attentato la famiglia mafiosa di Brancaccio, rimasta fuori dall’inchiesta per anni. Per la Procura i poliziotti, depistando l’indagine e suggerendo a Scarantino e ad altri due finti pentiti false verità sull’attentato, avrebbero addirittura favorito Cosa nostra: un’accusa pesantissima che si è tradotta con la contestazione ai tre imputati del reato di calunnia in concorso aggravata dall’aver favorito la mafia. Al processo, oltre a diversi familiari delle vittime della strage, si sono costituti parte civile gli otto condannati ingiustamente per l’eccidio, poi assolti in revisione, che hanno chiesto 50 milioni di risarcimento del danno.
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