Dai Verdi alla strada, la storia di Riccardo Rossi «Voglio essere il giornalista delle buone notizie»

Una certa stanca retorica vuole il giornalista perennemente per strada: è lì che si vive il mestiere, è lì che si colgono le notizie. Riccardo Rossi ha seguito questo mantra alla lettera. Ha dormito per dieci giorni a Palermo, sotto i portici delle Poste centrali di via Roma, accompagnando l’azione di sensibilizzazione del missionario laico Biagio Conte, che in questo modo ha deciso di stare accanto ai tanti senzatetto della città. Di sè dice di aver «scelto di fare il giornalista delle buone notizie, e con la missione Speranza e Carità (fondata proprio da Biagio Conte) abbiamo realizzato un giornale che si chiama La speranza».

Ora Riccardo è tornato a Pedara, nel Catanese, dove da 14 anni lavora come volontario presso la casa famiglia Oasi della divina provvidenzaOriginario di Napoli, Rossi è sposato da tempo con la ragusana Barbara Occhipinti. La coppia vive insieme a venticinque persone, «con disabilità e problemi vari. Mia moglie cucina – racconta a MeridioNews -, io sono un punto di riferimento per queste persone. Avevamo scelto di fare un viaggetto a Palermo, voleva essere un momento di riposo, avevamo già affittato un bnb. Ma poi – spiega – ho saputo che fratello Biagio aveva scelto di dormire per strada. E ho voluto stargli accanto, stando sotto i portici insieme. È come se avessi sentito una chiamata: lui ha scelto le poste e telecomunicazioni per dormire e io mi sono sentito preso in causa in quanto comunicatore». 

In quei 10 giorni Rossi ha rispolverato il suo passato da addetto stampa: ha tenuto i contatti con l’informazione palermitana, ha aggiornato i colleghi su ogni singolo incontro, ha diramato una serie di note, foto e video. «Ero l’addetto stampa dei Verdi – spiega -, ero il portavoce del Parco Nazionale del Vesuvio, lavoravo con il programma tv La Vita in diretta, collaboravo con l’Ansa e scrivevo per tante altre realtà». Un cronista a tutto tondo, insomma, una serie di esperienze preziose che gli sono tornate utili quando ha scelto di dedicarsi all’assistenza verso i più bisognosi. Quello che lo stesso Rossi definisce un «percorso di vita che è un percorso di fede, da non credente a credente» è dovuto soprattutto a un incontro. In cui Catania si rivela in qualche modo fondamentale. «Già attraversavo un periodo difficile della mia vita – dice il cronista –  tra una famiglia separata e un fratello tossicodipendente. Ho vissuto un lungo momento di depressione, di non scelta. Ero un quadro del centrosinistra, soggetto a delle disposizioni che non avevo più seguito. Mi aveva anche colpito un incontro coi giornalisti di Giovanni Paolo II, in cui il pontefice ci aveva chiamato comunicatori del sociale e ci aveva invitato a essere strumenti di bene. Io invece tutti i giorni ero strumento di divisione. Quando a un certo punto mi è stata sottoposta una non verità in un giornale non l’ho voluto fare, ho detto che volevo essere un uomo di pace». 

Da lì cominciano i primi timidi approcci col modo cattolico. «Fino ad arrivare a una tappa missionaria in Romania – racconta ancora Rossi-. In questa terra ho fatto tante esperienze difficili: negli orfanotrofi, con bambini sofferenti e famiglie disabili. Qui ho incontrato un giovane catanese, Giuseppe Messina, un missionario laico che incontrava i clochard per la strada senza conoscere una sola parola di romeno. Io l’ho seguito una sera riluttante, perché non riuscivo a dormire. A un certo punto ha incontrato un bambino, di circa dieci anni, che era avvolto dai rifiuti. Senza che si parlassero, il piccolo lo ha seguito. Questa storia mi ha talmente colpito che da allora ho scelto di venire a stare in Sicilia. Mi sono trovato a pensare che quell’uomo, con quel semplice gesto, aveva salvato una vita. E io che avevo fatto tanti articoli, tante interrogazioni parlamentari, tanti servizi non ero riuscito a fare ciò che aveva fatto il missionario. Questa cosa mi ha messo in crisi». 

Come un novello francescano, Rossi abbandona il suo passato e si dà anima e corpo al volontariato. «Così ho scelto di seguire fratello Giuseppe in Sicilia – conferma -. La prima persona che ho aiutato è stata una tossicodipendente. Poi ho seguito malati terminali, sono diventato le braccia e le gambe di persone disabili, ho aiutato tante persone in difficoltà. La mia vita ormai è nella provvidenza e nella carità. In uno di questi incontri ho conosciuto poi, circa dodici anni fa, fratello Biagio». Con la consapevolezza che la questione abitativa in Sicilia è grave. «Solo a Palermo la missione di Biagio Conte ospita 1400 persone – osserva il giornalista -. A Catania abbiamo già 90 accolti e non sappiamo più dove mettere i letti. Ed è una realtà simile in tutta la Sicilia, di disperazione e di difficoltà, di gente sfrattata e che vive in macchina. Non parliamo soltanto di fratelli africani, ma di tantissimi italiani. Da noi in casa famiglia a Pedara l’80 per cento delle persone in difficoltà è italiano. Chi rimane indietro rimane tagliato fuori. Si tratta di una realtà – conclude Rossi – che non possiamo più tacere e che va affrontata».

Andrea Turco

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