Crisi Abate, la lotta di chi è rimasto senza lavoro «Noi a casa, ma il magazzino è ancora operativo»

È trascorso
quasi un anno e il passato sembrano averlo scordato tutti. Il crollo del gruppo Roberto Abate spa è acqua passata per chi è stato ricollocato nei nuovi supermercati, acquistati in parte da marchi nazionali e in parte dal gruppo siciliano Arena (proprietario dei supermercati a marchio Decò), altro colosso della grande distribuzione organizzata. Intanto, però, c’è qualcuno che questa vicenda non ha ancora potuto mettersela alle spalle. Sono gli ex lavoratori (definiti «in esubero») della piattaforma logistica della ditta Ltm Di Martino che hanno impugnato il licenziamento collettivo e che, a breve, dovrebbero sapere se la conciliazione tentata davanti ai magistrati ha funzionato.

«Nel 2011 viene siglato un
contratto di affitto di ramo d’azienda tra due colossi – spiega a MeridioNews l’avvocato Dario Pruiti che assiste i lavoratori – Abate spa da una parte e Ltm Di Martino dall’altra. Alla scadenza naturale del contratto, sarebbe dovuta avvenire la retrocessione». In pratica trascorsi gli anni stabiliti dall’accordo, Ltm avrebbe dovuto restituire quel ramo dell’azienda di cui faceva parte la logistica al legittimo proprietario, il gruppo Abate. Gli anni passano. «È giugno del 2018 quando Ltm ricorda ad Abate che il contratto sta per scadere. Quest’ultimo, dopo una iniziale richiesta di proroga non accordata, si defila – ricostruisce il legale – A quel punto, inizia la procedura collettiva di licenziamento». 

È il periodo in cui cominciano le trattative di
Abate per la vendita ad Arena che, di lì a poco, avverrà con un contratto di affitto in conto vendita. «In queste trattative, però – sottolinea il legale – Abate non fa rientrare il ramo che avrebbe dovuto riprendere da Ltm». Un magazzino alla zona industriale di Catania dove, per otto anni, operai con esperienza ventennale ogni giorno hanno sistemato tutta la merce che sarebbe finita prima sugli scaffali dei supermercati (del marchio A&O, Famila, Iperfamila e parte dei prodotti di marca dell’Ard) e poi sulle tavole e nelle dispense dei cittadini della provincia di Catania. «Dopo il nostro licenziamento – lamentano – quel magazzino continua a funzionare allo stesso modo, solo hanno sostituito noi e il nome dei marchi». In effetti, il deposito risulta in piena attività: i camion entrano ed escono in continuazione e, in qualche caso, riforniscono gli stessi supermercati di cui riempivano i corridoi prima della caduta del colosso Abate e della conseguente vendita ad altri marchi dei punti vendita.

Agli ex dipendenti vittime delle controversie commerciali tra i due gruppi, finora, è stato riconosciuto un risarcimento (del valore di cinquemila euro) per il
danno di perdita di chance in seguito al licenziamento collettivo. Tra i lavoratori, che hanno deciso di procedere per vie legali con il supporto dello Sportello contro lo sfruttamento di Potere al popolo di Catania, c’è anche Guglielmo Pisciotta. Quarantatré anni, spiccato accento catanese e la battuta sempre pronta. «Io ho superato ogni record – racconta – perché sono stato addirittura licenziato due volte». È il novembre del 2018 quando Guglielmo ha un incidente sul lavoro. La prima volta in cui viene licenziato è ancora in congedo per malattia. «Senza nemmeno saperlo – dice – sono stato riassunto e, finito il periodo di malattia che mi spettava, sono stato licenziato di nuovo».  

Nella già complessa situazione del gruppo
Roberto Abate spa, poi, si aggiunge anche l’intervento della magistratura. A marzo 2019 la
sezione fallimentare del tribunale di Catania ha disposto il sequestro del patrimonio della Roberto Abate spa e preso in esame la richiesta di fallimento del gruppo avanzata dai pubblici ministeri. Il tutto avviene dopo che, come raccontato da MeridioNews, il gruppo Abate ha presentato una richiesta di ammissione al concordato preventivo, cioè un modo per ripianare una situazione debitoria sotto il controllo dell’amministrazione giudiziaria. 

Per la procura di Catania, le disponibilità liquide dell’impresa – 
oltre 900mila euro – visti gli introiti derivanti dalla vendita del centro commerciale Etnapolis (adesso della banca d’affari statunitense Morgan Stanley) e della maggior parte dei supermercati a Ergon, gruppo Arena e gruppo Rocchetta. A vigilare sull’intera società per azioni, per anni, è stato il collegio dei sindaci composto interamente da professionisti dello studio di Antonio Pogliese (padre del sindaco di Catania) e coinvolto nell’operazione Pupi di pezza.  A settembre 2019, come riportato dal quotidiano
Milano Finanza, il tribunale di Catania ha omologato il piano di ristrutturazione del debito presentato dalla Roberto Abate spa ed è stato disposto il dissequestro dell’impresa.


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