Le urne per le Comunali 2020 sono ormai chiuse, ma ai cittadini dei piccoli centri servirà un po' di tempo per riprendersi da un periodo in cui tutti ti toccano e vogliono offrirti il caffè. Con la macchina invasa di santini e la sensazione di essere straniero in patria
Cinquanta sfumature di «Hai la residenza qui?»
Mannaggia alle elezioni.
E a tutti quelli che ti fermano per strada se vivi in un piccolo centro.
Improvvisamente sotto campagna elettorale si accorgono che abiti nel loro stesso paese, che respiri la loro stessa aria, che di ‘sti tempi può essere anche un problema.
E invece gente che di solito ti schifava, oggi ti offre il caffè, se gli dai il gomito ti da le labbra, ti tocca, ti sussurra, e ride alle tue battute anche se non le fai.
– Tieni! Vota per lui perché è un caruso apposto.
Come se il fatto che è un caruso apposto sia un valido motivo per votarlo.
Che poi bisogna pure vedere, ci vuole la prova.
E così si sentono in dovere di aggiungere che non è pregiudicato, giustificando l’uso del termine caruso invece di picciotto.
E ancora.
– Puoi dare il voto a lui o lo hai già promesso a qualcuno?
Perché ovviamente i voti si promettono.
E se poi non mantieni la promessa, se ne accorgono, e la prossima volta invece di offrirti il caffè, ti ci fanno sputare dentro dal barista, che nel frattempo è diventato assessore alla Cultura.
Fatto sta che dopo questo corteggiamento invasivo, ti ritrovi inevitabilmente a fine giornata ad avere gli interni dell’auto coloratissimi, stracolmi di santini.
Ho ritrovato sotto il sedile santini del ’96, che come le figurine panini storiche raccontano un calcio che non c’è più.
Alcuni di quei candidati oggi, hanno cambiato squadra.
Altri sono morti.
Alcuni sono in carcere.
Altri ancora, dopo aver scontato la pena, si sono ripresentati alle elezioni nel 2008.
Insomma con l’auto piena a tappo di santini, ravani in cerca del freno a mano, e ti imbatti in volti sorridenti di gente improbabile.
Antonio, il fruttivendolo dalla canottiera bianca anche a gennaio; Jessica, sua moglie, conosciuta per rimuovere ai clienti più esigenti i semi d’anguria con le unghie; Alfio, cognato di Jessica e fratello di Antonio, proprietario del chiosco Tamarindo special, felici di stare tutti dentro la lista di Saro, il cugino, ex pugile diplomato ragioniere, orgoglio della famiglia.
Tutti questi individui capita di incontrarli in piazza, e hanno la stessa faccia precisa sputata a quella dei loro santini, e sono vestiti pure uguali.
Se stessero belli, muti e sorridenti come nelle fotografie, sarebbe perfetto.
E invece no.
Parlano.
Parlano ad alta voce e sputano sui microfoni.
E si arrampicano sui congiuntivi.
E si scattano i selfie.
E si fanno votare.
E sono gli stessi che sguinzagliano i propri fedeli sostenitori in cerca di elettori.
Alcuni ci sanno fare.
Altri sono scarsi.
Scarsi proprio nella comunicazione, nell’approccio, che è sempre lo stesso.
Non ti chiedono, come stai, se voti o di che partito sei.
No.
Vanno dritti al punto.
– Ma dove hai la residenza?
Gli interessa solo quello.
La residenza.
Alcuni sono talmente goffi che magari stai parlando con loro, che ne so, di calcio tanto per cambiare, e dopo un elaborato dribbling, riescono a infilarti la frase, lì, all’incrocio dei pali.
– Lo sai che Pirlo per allenare la Juve si è trasferito a Torino? Lui prima abitava in campagna, ora ha la residenza li. (Pausa) Tu dove hai la residenza?
E rimani interdetto davanti al genio.
Gli fai quasi la ola.
E ti sembra brutto dirgli che da anni abiti nel suo stesso paese ma non hai mai avuto la residenza.
Ti senti un intruso, uno che non ha il diritto di partecipare alla vita sociale del paese che lo ospita, una vita fatta di briscole, di circoli di conversazione e santi patroni.
Un gran peccato.
E quando, vergognandoti, ammetti che sei fuori dalla comunità di cui parla e che orgogliosamente il suo candidato sindaco tutela, forse stai per liberarti. Lui comincia a guardarti con occhio diverso, annuisce, non ride più alle tue battute – che comunque continui a non fare – sorseggia il suo caffè, accenna uno sbadiglio, ti da una pacca sulla spalla, ti sussurra «Forza Inter» e se ne va.
Da quel momento non lo rivedrai mai più.
Proprio scompare.
Si disintegra.
Viene risucchiato da un buco nero, proiettato in un altro pianeta.
E tu riprendi con la tua vita.
Ignorato da tutti, come prima.
E, come prima, cammini indisturbato in piazza tra un corteo e l’altro, una bandiera e l’altra, e in mezzo alla calca senza mascherina, cerchi di scorgere agli angoli della strada quei pochi cassonetti blu rimasti, che ogni anno puntualmente utilizzi per smaltire meticolosamente centinaia e centinaia di santini.
Francesco Maria Attardi è attore, regista e videomaker siciliano, nel 2016 co-fondatore con Francesca Ferro della start up teatrale Teatro Mobile di Catania.