Sentirsi parte di un tutto aiuta gruppi di persone a farsi valere. Ed è così che la parola consociato assume un nuovo volto
C come Consociato
Si avverte nell’aria la bramosia del rientro. Si sente negli spiragli dei finestrini da cui penetra un’aria umida ma finalmente fresca, di un settembre che profuma di rinascita e propositi. Cinicamente parlando, la nuova stagione mensile indurrebbe ciascuno a concentrarsi egoisticamente sulle proprie necessità e desideri, un po’ come accade a fine anno, ma con un pressing più leggero.
Proprio in questi momenti di elucubrazione mentale, tra uno scrub anti-abbronzatura residuale e il dubbio amletico sull’outfit da sfoggiare, l’appuntamento con la rubrica Avvocata Cinica risuona invocando l’aiuto di consuete sottovesti di carattere legale che, lungi dall’essere confinate a supposizioni d’élite, si propongono prepotentemente in aiuto di quanti vogliano farsi cullare dal soave dondolio dello ius.
In che modo il diritto può aiutarci? L’ausilio si concretizza con la lettera C, odiernamente di pregio poiché riconducibile al termine, fin troppo sottovalutato, di Consociato. Prescindendo dall’evidenza pratica di un utilizzo in qualità di aggettivo o di sostantivo, la parola vuol dire «associato in un’impresa; che fa parte di un medesimo gruppo aziendale, membro di una società».
Ci rendiamo conto della forza semantica che ingenera? Vengo e mi spiego. La rilevanza giuridica del consociato appare indiscussa poiché, se i consociati non esistessero, verrebbe meno l’idea stessa di società (di persone o capitali che dir si voglia), di associazione, di fondazione, insomma di tutte quelle realtà immateriali ma concrete che formano il bacino delle cosiddette persone giuridiche, uniche entità capaci di realizzare quegli intenti negoziali, economico-finanziari e talvolta utopici che la singola persona fisica non avrebbe mai la forza di ottenere. Se sussumiamo dal vocabolario giuridico il nettare della parola consociato e lo spalmiamo nell’area ben più estesa della vita di tutti i giorni, la scoperta è entusiasmante. Senza consociati e quindi senza persone che vivono della stessa medesimezza di intenti, di parità di vedute o di condivise volontà, gusti e inclinazioni, di questa accozzaglia di secondi, minuti e ore che scandiscono i nostri passi nel mondo non resterebbe altro che una sterile deriva verso l’egoismo, l’individualismo e l’autoreferenzialità.
Incarnare il concetto di consociato vuol dire abbandonarsi consapevolmente all’importanza di sentirsi membri di un gruppo, di una grande famiglia che supporta e tutto sopporta. Le petizioni, le grandi rivoluzioni, il cambiamento in sé e per sé ha alle spalle dei consociati determinati a fondere in un’unica voce le richieste di tutti, per alzare al massimo il volume di un grido che solo coralmente può essere ascoltato.
Pertanto mi chiedo e vi chiedo: quante volte avete ricorso a un’azione di gruppo per vedere tutelato il rispetto di un vostro diritto? Quante volte il senso di appartenenza vi ha assicurato o vi avrebbe assicurato una maggiore serenità di operato, lavorativo e sociale? Lo spunto di riflessione trova qui il suo epilogo, fermo sul concetto fin troppo austro-ungarico che l’unione fa la forza, al fine di indurre il lettore a riflettere ancora un pochino sull’epopea che stiamo vivendo, con l’augurio che in maniera consociata si trovi, tutti insieme, la via d’uscita da questo pantano pandemico.