Nelle scorse settimane, un 16enne che ha tentato due volte il suicidio è stato preso in cura al Fatebenefratelli di Milano dal dottor Luca Bernardo. Il tutto grazie alla segnalazione del responsabile del laboratorio antibullismo di Ragusa Giuseppe Raffa. «Il problema nasce dentro casa», spiega a MeridioNews
Bullismo, Asp e polizia postale insieme nel Ragusano «Aumento casi con internet, famiglie ne sanno poco»
Un ragazzo ricoverato per diverse settimane al Fatebenefratelli di Milano torna a casa, in provincia di Ragusa. Sedici anni appena e due tentati suicidi alle spalle, per colpa di una depressione subentrata a causa dei bulli che gli hanno reso la vita impossibile e hanno distrutto la sua autostima. In età adolescenziale, si sa, ogni emozione è amplificata, e per questo ragazzo il cyberbullismo è stato l’accento su un malessere che nessuno era riuscito a comprendere fino in fondo.
Per fortuna, però, la mamma si è rivolta a Giuseppe Raffa, pedagogista e responsabile dell’ambulatorio antibullismo dell’Asp di Ragusa, che ha messo il ragazzo nelle mani sapienti del professore Luca Bernardo, primario dell’unico centro in Europa a curare gli adolescenti vittime di bullismo quasi senza farmaci, attraverso un lungo percorso introspettivo. «Il professore Bernardo – spiega Raffa – sta dando al ragazzo i giusti anticorpi per tornare nel mondo e vederlo con nuovi occhi, e lui sta guarendo».
Il bullismo è un fenomeno dai mille volti. Può partire dalla realtà e finire per nascondersi dietro le pieghe virtuali e insondabili del web, può attuare il percorso inverso o rimanere ancorato a una forma, senza per questo essere meno pericoloso e distruttivo. E se è vero che si tratta di un problema che è sempre esistito, oggi, rispetto al passato, c’è una sostanziale differenziale: «I casi stanno crescendo in maniera esponenziale – continua il medico – sia in termini numerici che di gravità. Le famiglie sono completamente disarmate e non sanno cosa fare, soprattutto in presenza di cyberbullismo, perché non sempre hanno le competenze tecnologiche che permettono loro di riconoscere il problema dei figli e di contrastarlo».
Il pedagogista ha avviato un’interlocuzione diretta con il dirigente della polizia postale della Sicilia Orientale, Marcello La Bella, per mettere a punto una serie di iniziative che partiranno a settembre. Gli appuntamenti saranno organizzati in collaborazione con il Kiwanis, da sempre attivo contro questa delicata forma di disagio.
Ma cos’altro si può fare per fronteggiare l’emergenza? «Da poco è stata approvata una legge sul cyberbullismo che giudico discreta – afferma ancora Raffa -. Il problema è che manca un intervento per le famiglie, si fa un buon lavoro con i ragazzi e con le scuole, ma ancora una volta lo Stato Italiano dimentica il nucleo originario. A scuola il problema si amplifica, ma nasce in casa, negli strumenti che i genitori riescono a mettere nelle mani dei figli per renderli forti e sicuri. La soluzione – prosegue – sta nell’educare le famiglie alla tecnologia, in maniera consapevole e seria».
Ad avere compiuto il percorso di risalita è un altro ragazzo. Ha 34 anni e il suo dramma è cominciato in quarta elementare. Non è stato facile venirne fuori, ma ormai parlarne fa meno male. «Fino in terza elementare – ricorda – era tutto normale, nessun problema. Poi la situazione è degenerata a causa di un bambino che mi ha preso di mira perché ero più basso, diligente e molto schivo. A lui, pian piano, si sono aggiunti altri ragazzi. Litigavo spesso, cercavo di difendermi, ma contro più di una persona non era facile, e durante una lite – continua – mi spinsero fino a sbattere la testa al muro, riportando un piccolo ematoma al lobo dell’orecchio».
Questo ragazzo, che chiameremo Giovanni, aveva trovato il coraggio di confidarsi con i genitori, ma tutto era stato inutile e alla fine l’unica soluzione era stata quella di cambiare scuola. «A casa portavo qualche livido, parlavamo con la maestra, ma nulla. Per lei eravamo solo bambini – prosegue – e quindi quelle cose erano normali. Ho iniziato a pensare che il problema ero io. La violenza psichica era la più pesante da sopportare: gli sfottò, gli insulti». Le cose non sono migliorate nella nuova classe. «Avevo ottimi risultati, studiavo tantissimo, ma sentivo l’invidia, tanto rancore – ricorda Giovanni -. Mi arrivavano schiaffi da dietro, mentre ero seduto al mio banco. Dopo tante umiliazioni, ho iniziato ad ammalarmi o fingevo di essere malato per non andare a scuola».
Giovanni ha trovato la sua forza nella fede e nel dialogo, anche se in alcuni momenti dice di essersi sentito davvero solo, e quando, a distanza di anni, altre persone sono arrivate ad importunarlo «mi sono difeso tirando fuori la parte più determinata del mio essere, perché bisogna usare metodi decisi». Su cosa fare per aiutare i giovani vittime di soprusi dichiara: «Parlare nelle conferenze è utilissimo ma non basta. Nelle scuole sono necessarie figure che seguano gli studenti in maniera ravvicinata. Tutto – sottolinea – nasce da una sola parola: l’intolleranza».
Giovanni ha assistito alle conferenze organizzate nell’ambito del progetto Attenti al lupo, promosso da Raffa e che ha avuto tra gli ospiti il professor Bernardo. Durante l’iniziativa, i Comuni di Acate e Comiso hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per sancire il proprio impegno verso la causa.