La mamma Valentina e il papà Daniel vivono a Londra, ma sperano di potersi trasferire in Germania dove il sistema sanitario somministra il Zolgensma anche oltre i primi mesi di vita. Servono però 1,7 milioni di sterline. Il link per contribuire
La raccolta fondi per dare una speranza a Peter «Mio figlio ha la Sma 1, un farmaco può aiutarlo»
Peter è affetto da Sma 1, l’atrofia muscolare spinale. Ad aprile compirà un anno, pesa quasi dieci chili e gliene restano altri undici per accedere alla somministrazione in Germania dello Zolgensma, un farmaco costosissimo, che potrebbe salvargli la vita e migliorarne la qualità. Per raccogliere la somma, che si aggira intorno a un milione e 780mila sterline, i genitori hanno aperto una raccolta fondi online. «Desidero solo che mio figlio viva», dice la mamma Valentina a Meridionews. Una corsa contro il tempo che si misura in chilogrammi, quella che Valentina e il compagno Daniel stanno affrontando per garantire le cure necessarie al figlio Peter, cresciuto con enormi difficoltà motorie, nutrito da un tubicino attaccato al naso e collegato la notte a un ventilatore per respirare.
Originari di Messina, trasferitisi a Londra sei anni fa per lavoro, alle tante sfide affrontate dai siciliani all’estero la vita ne ha aggiunta un’altra: la Sma 1, malattia degenerativa muscolare. Ricevuta la diagnosi a un mese e mezzo di vita, Peter ha iniziato le prime cure e fatto qualche miglioramento, riuscendo a muovere mani e gambe. Ma il farmaco che farebbe la differenza è lo Zolgensma, già sperimentato all’estero con risultati straordinari su bambini che sono riusciti a muovere anche qualche passo; riaccendendo la speranza di molte famiglie.
Questa medicina, però, non è disponibile nel Regno Unito, per cui i genitori intendono portare Peter in Germania, dopo avere raccolto i soldi necessari. Impresa non facile, per la quale hanno lanciato una campagna di crowdfunding. «Si tratta del farmaco più costoso al mondo – spiega Valenti – e, a prescindere da dove riusciremo ad averlo, resta questa la somma necessaria: un milione e 780 mila sterline. Al momento l’unica prospettiva concreta è la Germania, dove lo Zolgensmaviene somministrato anche oltre i sei mesi di vita, contrariamente a quanto accade in Italia, dove molte famiglie sono di fatto escluse dalla terapia di fronte a una malattia congenita che si manifesta proprio nei primi mesi di vita. Nel nostro caso, anche qualora il sistema sanitario italiano aumentasse l’età di somministrazione o quello britannico approvasse il farmaco nel Regno Unito, avremmo bisogno degli stessi soldi, essendo residenti a Londra».
Ma le avversità non finiscono qui. Al costo elevatissimo della terapia si aggiunge il limite di peso previsto in Germania per l’assunzione: 21 chilogrammi. Una scadenza biologica inesorabile, che accelera la necessità di raccogliere al più presto il denaro. «Il problema di questo farmaco è la tossicità. Più il bambino cresce e più aumenta il dosaggio necessario; per questo la Germania ha previsto un limite in chilogrammi». Prosegue: «Il trattamento in sé è molto impegnativo e prevede un ricovero di almeno due settimane, oltre alla somministrazione di ingenti dosi di steroidi per verificare la risposta del sistema immunitario. Ma, a differenza della cura a cui Peter è sottoposto adesso attraverso una puntura lombare dolorosissima ogni quattro mesi, lo Zolgensma sarebbe iniettato intravena, in modo tale da raggiungere anche le parti più periferiche dell’organismo. Questo consentirebbe il miglioramento della deglutizione e della respirazione: due funzioni vitali che garantirebbero a mio figlio di vivere, pur senza guarire». Ed è questo che rivendica mamma Valentina, il diritto alla vita del suo Peter, mentre la Sma 1 lascia presagire una aspettativa di soli sette-otto anni.
La sua determinazione non è stata scalfita dalle difficoltà, iniziate già con un parto difficile, che le ha impedito persino di allattare. Poi finalmente il recupero fisico e la possibilità di tenere in braccio il suo primo figlio. Ma da madre attenta si è accorta subito che qualcosa non andava bene. «Alla mia intuizione – racconta – si è presto associata la preoccupazione di una pediatra che, in piena pandemia, ha potuto visitare Peter solo tramite videochiamata». Poi la corsa al nosocomio, gli interventi chirurgici, le infezioni polmonari e una routine ospedaliera mai interrotta. «So che Peter non guarirà – conclude – ma non si può accettare di vivere conoscendo la propria data di morte».
Questo il link per contribuire alla raccolta fondi per Peter.