Diciotto marinari sequestrati dai militari dell'autoproclamato governo dell'Est da una parte, quattro sportivi condannati per la Strage di Ferragosto dall'altra. «Farò ricorso in Cassazione», spiega l'avvocata Cinzia Pecoraro a MeridioNews. Guarda le foto
I pescatori sequestrati e i calciatori libici ritenuti scafisti «Erano passeggeri come altri, non trafficanti di uomini»
Pescatori da un lato, calciatori accusati di essere scafisti e responsabili della Strage di Ferragosto del 2015 dall’altra. In mezzo un braccio di ferro internazionale. La sera dello scorso 1 settembre, due pescherecci della marineria di Mazara del Vallo – l’Antartide e il Medinea – sono stati sequestrati dalle autorità libiche a circa 35 miglia a Nord di Bengasi. Diciotto marinai sono stati sequestrati dai militari libici dell’autoproclamato governo dell’Est con l’accusa di avere violato le acque nazionali. L’indomani è il comandante generale dell’esercito nazionale libico (l’Lna che attualmente controlla la costa libica fino a Sirte) Khalifa Haftar a fare sapere di non avere ricevuto «alcuna informazione ufficiale». Intanto, al porto di Bengasi è stata organizzata una manifestazione da parte della società civile: «Liberate gli atleti libici: sono calciatori, non trafficanti». Sui quattro, però, pendono condanne dai 20 ai 30 anni di carcere per omicidio volontario e traffico di migranti in un processo tenutosi al tribunale di Catania. «È come se in Italia avessero condannato Francesco Totti. Adesso che è stata depositata la motivazione della sentenza – spiega a MeridioNews l’avvocata Cinzia Pecoraro che difende uno dei giovani libici – sto lavorando per presentare il ricorso in Cassazione».
I marinai siciliani alla ricerca del prezioso gambero rosso sarebbero, dunque, finiti al centro di una trattativa su scala internazionale: il generale Haftar avrebbe dato all’esercito il comando di non rilasciare i pescatori italiani fino a quando i quattro sportivi libici non saranno liberati. All’indomani del sequestro, il sindaco di Mazara del Vallo Salvatore Quinci, ha esposto l’ipotesi che la tempistica non fosse casuale: «È avvenuto mentre il nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio era in Libia». Nelle settimane, è cresciuta la preoccupazione, sono montate le polemiche della politica e si è attivata la burocrazia. Stando a quanto ricostruito finora, i diciotto marittimi si troverebbero ospiti in una villa mentre i due pescherecci sarebbero rimasti ormeggiati nel porto della capitale della Cirenaica. «Se entro qualche giorno non si troverà una soluzione – hanno annunciato i due armatori Leonardo Gancitano e Marco Marrone – ci recheremo a Roma con le famiglie dei pescatori per far sentire la nostra voce al Governo Italiano».
Non ci sono ancora conferme ufficiali ma pare che le autorità libiche abbiano in mente una trattativa. Il rilascio dei pescatori in cambio della liberazione di Joma Tarek Laamami di 24 anni, Abdelkarim Al Hamad di 23 anni, Mohannad Jarkess di 25 anni e Abd Arahman Abd Al Monsiff di 23 anni. Partiti da Bengasi nel 2015, arrivati in Sicilia sono stati arrestati e poi condannati dalla corte d’Assise di Catania e dalla corte d’Appello con l’accusa di avere fatto parte del gruppo di scafisti responsabili della Strage di Ferragosto in cui morirono 49 migranti. «Erano semplici passeggeri come gli altri, non avevano alcun rapporto precedente con i trafficanti – sottolinea l’avvocata Pecoraro al nostro giornale – hanno pagato a prezzo interno e avevano paura di morire». Informazioni che sono state estrapolate anche dai messaggi scambiati con alcuni familiari e per l’organizzazione pratica del viaggio. «Come altri migranti – aggiunge la legale – anche loro si sono imbarcati clandestinamente per fuggire dalla Libia diretti in Germania».
Foto di allenamenti e partite con il completino della squadra Al-Ahly Bengasi. E non solo. A dimostrare che si tratta di calciatori c’è anche il certificato rilasciato dal presidente del team calcistico. Eppure, sono accusati di avere stipato un centinaio di passeggeri nella stiva del barcone e di averne impedito l’uscita bloccando i boccaporti. In realtà, anche dalle indagini, sarebbe emerso che la stiva era areata da tre boccaporti con diametro di 70×70 centimetri, «troppo piccolo per il passaggio di un uomo, e del tutto insufficienti a fare passare aria e luce necessari […] I tentativi dei migranti di risalire per ossigenarsi venivano stroncati da alcuni degli odierni imputati – si legge nel documento – posti a guardia delle aperture, che intervenivano colpendoli con una cintura di metallo, con calci, pugni e colpi in testa con bottiglie di plastica, rimandandoli indietro». Elementi che sarebbero emersi anche dalle dichiarazioni di alcuni testimoni.
«Il mio assistito Abdelkarim Al Hamad – dice la legale – è stata accusato di essere uno degli organizzatori perché avrebbe passato delle bottiglie d’acqua agli altri. Il punto è che l’interesse di tutti era salvarsi la vita e, quindi – continua la legale – mantenere l’ordine per evitare che la barca perdesse l’equilibrio e si ribaltasse». Nella sentenza di condanna si legge che non sono emersi «elementi per ritenere che gli imputati abbiano avuto contatti e che siano stati reclutati dall’organizzazione criminale quando erano ancora in Libia, atteso che – continua il documento – la comune nazionalità libica per alcuni di loro induce a ritenere che siano stati coinvolti nell’immediatezza della partenza». Nessuno dei quattro è risultato essere armato a bordo. «La loro sfortuna – conclude Pecoraro – è stata essere posizionati nella parte alta della stiva ed essere libici».