Alcuni affittuari di aree sottratte al controllo mafioso, sui Nebrodi, si sono tirati indietro dopo strani sconfinamenti di vacche. Così il Comune di Troina ha in cantiere un progetto per gestire quei terreni. Puntando su allevamento, trasformazione della legna e turismo
Privati mollano terre tolte ai clan, ma la battaglia continua «Creiamo la più grande azienda agricola pubblica d’Italia»
Nel cuore della Sicilia la guerra alla mafia dei pascoli è dura da vincere. Perché non bastano le interdittive antimafia che hanno tolto centinaia di ettari a soggetti legati a Cosa Nostra, se poi quei terreni non li vuole gestire nessuno. Per paura. Perché quando i vecchi poteri continuano a fare sentire la loro presenza, lasciando pascolare liberamente le mandrie in aree che non gli appartengono più, allora il messaggio sul territorio arriva forte e chiaro e investire in attività imprenditoriali diventa difficile. Dall’inizio dell’anno quattro privati hanno deciso di mollare e hanno comunicato al Comune di Troina che non se la sentono di continuare a gestire i terreni con cui, fino a pochi anni fa, le famiglie dei clan facevano affari grazie ai fondi europei destinati all’agricoltura. «In totale – spiega il sindaco Fabio Venezia, 38 anni e da quattro sotto scorta – i nuovi affittuari dopo le interdittive erano 12, un terzo negli ultimi mesi ha rinunciato».
L’amministrazione di Troina, attraverso l’azienda Silvo Pastorale, è proprietaria di 4.200 ettari sui Nebrodi. Viste le recenti difficoltà, ha deciso di fare da sé, provando a realizzare una cosa che in Italia è più unica che rara: trasformare l’azienda Silvo Pastorale da semplice ente di tutela e gestione a vero e proprio soggetto imprenditoriale, «la più grande azienda agricola pubblica d’Italia», spiega Venezia. Se i privati scappano, allora il pubblico rilancia: un allevamento con razze in via di estinzione, produzione e trasformazione della legna e un georesort in un vecchio immobile nel cuore dei boschi. Un progetto che, a regime, darebbe lavoro a 60 giovani del luogo.
A gennaio il sindaco aveva lanciato un appello: «Sui Nebrodi non c’è posto per le vacche sacre. Se lo Stato non interverrà, sono pronto a consegnare la fascia di primo cittadino al prefetto e dimettermi». Ne sono seguiti una breve risposta del ministro dell’Interno Matteo Salvini che prometteva «massimo impegno contro i clan», una convocazione di Venezia in commissione regionale antimafia e una riunione alla Prefettura di Messina con i vertici delle forze dell’ordine per mettere in atto un piano di azione. «Dopo l’appello – racconta il primo cittadino – non si sono registrati altri sconfinamenti di vacche e i controlli del reparto Cacciatori e del corpo forestale sono aumentati». Ma tutto questo non è bastato a convincere alcuni nuovi affittuari ad andare avanti.
«Stiamo avendo difficoltà – continua Venezia – quello che è successo è stato uno schiaffo alle istituzioni, ma non cediamo di un solo millimetro». Primo step del progetto è una raccolta fondi dal basso, col sistema di crowfunding attraverso la piattaforma Laboriusa, legata al mondo del no profit e dove chiunque può fare una donazione (l’iniziativa si chiama Legalità di razza): l’obiettivo è raggiungere 25mila euro per comprare 20 asini ragusani e 20 cavalli sanfratellani, razze in via di estinzione. Gli animali saranno usati anche per escursioni negli sconfinati boschi dei Nebrodi che avrebbero come punto di riferimento un vecchio immobile attualmente abbandonato in contrada Sambuchello, a Troina. Il Comune vuole ristrutturarlo e trasformarlo in georesort con 24 posti letto.
«Il progetto esecutivo è pronto, abbiamo partecipato a un bando regionale e confidiamo di ottenere a breve 2,5 milioni di euro da fondi di investimento del 2016. Questo immobile diventerà il polo di aggregazione per le attività turistiche», precisa il sindaco. Terzo step del progetto è trasformare e commercializzare la legna ricavata dalla pulizia dei boschi. «Entro maggio vorremmo comprare gli animali e a settembre partire con la lavorazione della legna, potremmo arrivare a venderne 20mila quintali. Fare dell’azienda Silvo Pastorale un soggetto imprenditoriale forse è una pazzia in un contesto in cui gli enti pubblici fanno fatica a gestire i servizi normali – conclude Venezia – ma è l’unica possibilità che abbiamo di rilanciare la nostra battaglia».