Zingaretti a Catania, mea culpa e nuova unità «Faraone? Un vulnus, va ristabilita democrazia»

«Vorrei far appendere in tutti i circoli l’articolo 3 della Costituzione»Nicola Zingaretti fissa un punto di partenza per il nuovo Pd da lui immaginato. «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Per il candidato alla segreteria, stasera a Catania e Siracusa per il suo tour, il ruolo del Pd sta principalmente lì. «Abbiamo sbagliato a non capire che le belle parole della Costituzione non si riscontrano più nella realtà. Oggi molte persone vivono questo scarto. E il nostro ruolo è rimuovere quegli ostacoli che la Costituzione aveva previsto. Il Pd non è nato per testimoniare quei diritti, ma per concretizzarli. E per farlo bisogna lottare e organizzarsi». 

Un lungo discorso fatto di tanti mea culpa: «Il più grande errore è stato che mentre abbiamo fatto uscire l’Italia dalla crisi, non abbiamo visto la sofferenza, la crescita delle disuguaglianze, le solitudini, l’autobus che prima passava ogni venti minuti e poi ogni trenta, gli asili che chiudevano. Abbiamo sbagliato a tagliare dieci miliardi di trasferimenti agli enti locali. Sembravamo degli elitari, ci sentivano parlare di cose che non riguardavano la loro vita. Siamo diventati il potere». Un discorso fatto anche di orizzonti: «Gli italiani nutrono grande speranza in questo governo, ma Lega e Cinque stelle si stanno dimostrando incapaci. Quando tra le persone prevarrà la percezione della solitudine e dello smarrimento, noi dovremo essere pronti, altrimenti ci sarà la terza fase del populismo, quella in cui il capro espiatorio saranno la democrazia e l’Europa che saranno accusate di impedire di governare». Essere pronti per Zingaretti significa «spiegare a tutti che i sovranisti sono i veri nemici della sovranità italiana, perché prendendo a picconate l’Europa si fanno gli interessi delle altre grandi potenze mondiali e a quel punto l’Italia verrà spazzata via. Noi invece vogliamo gli Stati Uniti d’Europa con l’elezione diretta del presidente». 

Il teatro della Vecchia dogana di Catania è pieno. Molti sono rimasti in piedi, anche se i giovani presenti sono una netta minoranza. Nelle prime file c’è il gotha del Partito democratico catanese e non solo: Enzo Bianco e i suoi ex assessori Saro D’Agata, Orazio Licandro e Luigi Bosco, il deputato regionale Anthony Barbagallo, quelli di area Cgil Concetta Raia e Angelo Villari, l’europarlamentare Michela Giuffrida. Ci sono anche Teresa Piccione, ritiratasi in polemica dalle primarie regionali, Giuseppe Berretta, Enzo Napoli e Luisa Albanella. Un po’ più defilato Mirello Crisafulli, mentre Giuseppe Antoci arriva in ritardo e poi si fa strada per un abbraccio a Zingaretti. Anime diverse che si sono anche fatte la guerra per un periodo e che ora sembrano aver trovato un riferimento comune. «Veniamo da tradizioni diverse – dice Bianco a Zingaretti – ma tu unisci, quindi noi di Liberal Pd saremo con te».

Per chi ha osteggiato il Pd di Renzi, dell’uomo solo al comando e di un partito a trazione maggioritaria, le parole del candidato alla segreteria suonano dolci. «La soluzione non è sciogliere il Pd, come qualcuno ha detto. Abbiamo litigato troppo e discusso troppo poco, basta con l’ossessione della divisione». Missione ardua soprattutto in Sicilia dove l’iter congressuale e le primarie saltate in aria hanno lasciato un Pd a pezzi e un segretario, il renziano Davide Faraone, non riconosciuto da mezzo partito. E a fronte di questo scenario, Zingaretti fa capire che, qualora venisse eletto, bisognerà ridiscutere tutto. «Quello che è accaduto qui è un vulnus che divide – spiega – in un modo o nell’altro bisognerà tornare a una riapertura di un dibattito per ristabilire dei processi democratici di selezione della classe politica».


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