Arance siciliane in Cina: l’export è fermo all’annuncio Prezzi proibitivi per voli, protocollo parla solo di navi

Protocollo fantasma. Non è il nome in codice di un’operazione sotto copertura, ma ciò che sembra potersi dire dell’annuncio dato due settimane fa dal vicepremier e ministro allo Sviluppo economico, Luigi Di Maio, e dall’omologo all’Agricoltura, Gian Marco Centinaio, in merito all’esportazione via aereo delle arance siciliane in Cina. Una novità che Di Maio ha festeggiato definendola «una vittoria del governo» nonché un’opportunità per gli imprenditori di non perdere più «un sacco di soldi».

Da quel giorno, però, le arance hanno continuato ad attraversare gli scali aeroportuali soltanto all’interno dei bagagli degli emigranti desiderosi di portarsi al Nord un pezzo di Sicilia. E se sia dal Mise che dal Mipaaft non si riescono a recuperare i dettagli dell’accordo, qualcosa è stato pubblicato ieri mattina dal dipartimento regionale all’Agricoltura: si tratta del protocollo fito-sanitario a cui dovrà attenersi chi vorrà tentare di espandere il proprio business nel paese del dragone. Il documento riguarda l’esportazione dell’arancia rossa – varietà tarocco, sanguinello e moro – e del limone (nella varietà femminello comune) e contiene i requisiti che i frutti dovranno avere per essere accolti nel mercato di destinazione, a partire dall’esigenza di non introdurre organismi nocivi. A colpire, però, è il fatto che l’intero protocollo sia incentrato sui trasporti via nave. Si parla infatti di container, porti e verifiche da effettuare prima e dopo l’imbarco, nonché di trattamenti a freddo organizzati su più settimane. «Si tratta solo di correzioni da apportare al lessico, ma il protocollo vale anche per le spedizioni via aereo», chiosano dall’assessorato regionale, non prima di rimarcare che qualsiasi revisione spetterà comunque al ministero.

E così, per ora, l’unica notizia di export verso la Cina arriva dall’impresa Oranfrizer, che ha comunicato nei giorni scorsi la partenza di due container, scegliendo però la spedizione via mare. Ovvero la modalità che, per bocca dello stesso Di Maio, sarebbe limitante per le caratteristiche intrinseche delle arance, particolarmente sensibili ai lunghi viaggi. E se dall’azienda assicurano di essere «attrezzati per garantire la buona riuscita della spedizione», a esprimere qualche perplessità è Corrado Vigo, consigliere nazionale dell’ordine degli agronomi. «Ragionare sull’invio delle nostre arance in Cina è un argomento più complesso di quello che, in queste settimane, è stato veicolato – commenta a MeridioNews -. Innanzitutto bisogna capire di che frutto parliamo. Specialmente se si tratta di portarle via mare. Il tarocco, per esempio, è un tipo di arancia con una shelf life (data di scadenza, ndr) particolarmente ridotta e, per quante accortezze si possano adottare anche sul refrigerato, non sarà così semplice garantire, dopo diverse settimane di viaggio, che la qualità si mantenga».

I dubbi dell’agronomo riguardano anche altri aspetti. Come le ricadute sul settore agrumicolo siciliano e, in particolare, su chi realmente potrà beneficiare dell’accordo tra governo italiano e governo cinese. «Gli eventuali aspetti positivi del protocollo commerciale di cui si è data diffusione in tutti i mass media e social network, i cui particolari ci piacerebbe conoscere – continua Vigo – saranno chiaramente appannaggio delle imprese che commercializzano il frutto. Per i produttori, infatti, sarà molto difficile organizzarsi in maniera tale da assicurare la logistica e i servizi necessari a soddisfare le richieste di un mercato che inevitabilmente sarà di super nicchia». 

Il riferimento alla ristrettezza dello sbocco nei mercati cinesi deriva da una serie di considerazioni. Innanzittutto dalla questione quantità: a fronte di una coltivazione siciliana che non supera i 50mila ettari, in Cina le aree che ospitano alberi di arance, specialmente bionde, superano abbondantemente i due milioni. Ma a incidere più di tutti potrebbero essere i costi. La domanda infatti è: quanto dovranno pagare i cinesi per assaporare le arance nostrane? Una risposta precisa al momento non c’è, ma gli spunti di riflessione sì. Se sia dalla Regione che dal Distretto produttivo agrumi di Sicilia fanno sapere che gli accordi commerciali saranno frutto di singoli accordi tra privati – da una parte gli esportatori siciliani e dall’altra gli acquirenti cinesi -, qualcosa di più si può dire sui costi del trasporto per via aerea

Contattata per avere un preventivo su un ipotetico carico di dieci tonnellate da inviare da Catania a Pechino, un’importante azienda che tratta spedizioni a livello internazionale – Cina compresa – fa sapere che il prezzo per chilogrammo potrebbe variare tra un euro e trenta centesimi e un euro e ottanta centesimi, in base al fatto che si scelga una soluzione con scali o diretta. Il tutto escludendo il rincaro per il servizio di refrigerazione, necessario nel caso delle arance. Una spesa che, confrontata con quelle sostenute per far viaggiare la merce con altri mezzi, sembrerebbe proibitiva: via nave, per esempio, con un centesimo si riesce a far viaggiare dieci chili di arance. 

Ma i problemi per le imprese siciliane potrebbero non finire qui. Allo stato attuale, infatti, immaginare una partenza da uno scalo nell’isola – nonostante Di Maio abbia assicurato la propria presenza in Sicilia occasione del primo decollo – sarebbe non semplice. «L’aeroporto di partenza – fanno sapere dal dipartimento vendite della società specializzata in spedizioni – non potrebbe essere Catania bensì Roma. Il trasporto fino a Fiumicino dovrebbe essere a cura del mittente, a meno di studiare, per il futuro, una possibile soluzione con autotrasportatori che però – sottolineano – non abbiano lo scopo di raggruppare il massimo possibile delle spedizioni prima di partire per la consegna a Roma. Poiché – conclude la società – i tempi delle spedizioni aeree non lo consentirebbero». Sul punto dallo scalo etneo arriva il commento da parte del responsabile Terminal Salvo Pulvirenti: «L’aeroporto di Catania a livello logistico è pronto a fare la propria parte, bisogna però che si creino le condizioni per garantire servizi continui nel tempo, perché questo agevolerebbe le tariffe». A riguardo di recente si sarebbe tenuta una riunione tra alcuni soggetti interessati all’export. «Hanno voluto conoscere le condizioni e i costi su un’ipotetica tratta da Catania con scalo a Dubai e si sono presi del tempo per rifletterci. I prezzi? Simili a quelli da Fiumicino».


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