Dopo una lunga giornata di trattative, sono tre in tutto i documenti che dovrebbero rimodulare l'intera legge di stabilità: uno trasversale, uno di Partito democratico e M5s e quello dell'esecutivo, che perde 23 norme su 72
Finanziaria: attese e il flop al maxiemendamento del governo Stralciati un terzo dei commi: «Ripropongono norme bocciate»
Come previsto, nonostante l’appello dell’assessore al Bilancio Gaetano Armao, alla fine i maxiemendamenti alla legge di stabilità della Regione Siciliana ad arrivare sui banchi di sala d’Ercole sono ben tre: uno redatto dal governo e due dal parlamento. E ci arrivano dopo una giornata di estenuanti trattative, con l’Aula, convocata per le 11, che resta deserta per almeno altre cinque ore. Ore in cui il centro dell’azione politica è la stanza di Roberto Di Mauro, vicepresidente dell’Ars, uno dei due registi – neanche tanto occulti – dei movimenti che porteranno alla redazione di uno dei due maxiemendamenti a trazione parlamentare insieme al leghista Luca Sammartino. Il resto è tutto un passeggiare frenetico di deputati tra corridoi e cortili, quasi sempre con un blocchetto di fogli sotto braccio con su stampata chissà quale versione del documento da presentare, viste le continue e repentine revisioni a cui sono sottoposti.
Le riunioni si susseguono, specie in commissione Bilancio, ma quasi tutti i deputati, interpellati sullo stato dell’arte dei lavori, rispondono con estrema insicurezza. In pochi conoscono in dettaglio le more dei propri maxiemendamenti, quasi nessuno conosce il contenuto di quelli degli altri. «Vogliono tenerci in ostaggio – dice il deputato Pd Nello Dipasquale – Sperano che qualcuno di noi alla fine ceda e se ne vada per avere i numeri e votare». «Noi abbiamo tutto pronto da ieri», dice il segretario regionale dei Dem Anthony Barbagallo. Le proposte di Pd e Movimento 5 stelle sarebbero dovute confluire in un maxiemendamento che racchiudeva gran parte dell’arco parlamentare ma per un disaccordo – pare – sulle stabilizzazioni del personale interno all’Ars il fronte ha scorporato i propri commi, dando vita nella serata di ieri al Maxi2. Il Maxi1 è invece il documento parlamentare che metteva insieme l’ormai ex maggioranza: Fratelli d’Italia, Diventerà Bellissima, parte dell’Udc e autonomisti.
La campanella che chiama i deputati in aula suona alle 15.54, la seduta inizia alle 16.48. Si attendono delle fotocopie. Si riprende dalle riserve per i Comuni, tema spinoso rimasto accantonato per due giorni con parte dell’articolo 13. Si prepara a prendere la parola l’assessore Marco Zambuto, ma Roberto Di Mauro sussurra a Gianfranco Miccichè, che ha appena aperto i lavori: «Mancano quattro milioni e mezzo». «E allora unn’amu fatto nenti», esclama in dialetto il presidente dell’Assemblea. Si ripiomba nello stallo e nel silenzio. Il microfono del coordinatore di Forza Italia si riaccende dopo poco, solo per redarguire il collega Antonello Cracolici: «Stiamo lavorando, voglio finire quanto lei, è una Finanziaria difficile». Si chiude per riprendere ancora alle 17.05. Questa volta i tre maxiemendamenti sono tra le mani di Miccichè, che dà lettura delle parti dei singoli emendamenti che sono stati stralciati dalla presidenza dell’Assemblea. Il Maxi1 perde quattro commi (ognuno dei quali contenente una norma) per evidenti profili di incompatibilità costituzionale, tre per evidenti criticità di copertura finanziaria derivanti da mancanza di quantificazione e copertura e uno, l’84, perché identico nel contenuto al comma 3. Un totale di otto norme su 116.
Va meglio al Maxi2, che perde tre commi per criticità nella copertura finanziaria e uno per incostituzionalità, quattro in totale su 71. Quello veramente falcidiato è il MaxiGov, il maxiemendamento prodotto dall’esecutivo, che perde quasi un terzo dei commi: 23 su 72. Soprattutto non riesce al governo il giochetto di fare rientrare dalla finestra alcune norme uscite dalla porta: «Ho deciso di stralciare dal MaxiGov i commi 3, 23, 26, 35, 45, 49, 50, 54, 62, 64, 65, 66 e 70 in quanto riproduttivi di norme che erano già state stralciate in questi giorni» sentenzia Miccichè, che toglie anche il comma 5 «in quanto già approvato», il 45 e il 46, «in contrasto con precedenti valutazioni», il 12 e il 13 perché «norme già vigenti», più altre norme ritenute incostituzionali o senza copertura.
Finita la lettura, il presidente Miccichè convoca la conferenza dei capigruppo per cercare di limare le distanze e fare rientrare qualche articolo cassato dai documenti parlamentari rimodulando le cifre ed evitando così un taglio lineare. «La mia proposta è di valutare bene i documenti e riprendere domani – dice ancora Miccichè, scatenando la rivolta dei deputati – C’è qualcuno che ancora non ha gridato? – riprende il presidente – Se andiamo troppo oltre saranno praticamente sicuri i mancati pagamenti degli stipendi di questo mese – il riferimento è al personale delle partecipate, forestali e precari – Io la responsabilità di questo da solo non me la prendo. Sono stanco, lavoro da quattro giorni senza sosta. Non c’è niente da ridere in questo momento. Siete pregati di stare attenti e tranquilli». E si va così verso un’altra lunga sospensione, in attesa di sapere quando verranno ripresentati i documenti. Forse anche stasera. Intanto, fuori da palazzo dei Normanni continua il presidio di Asu ed Ex Pip, precari in attesa di stabilizzazione dalla Finanziaria, ma anche tra le pagine dei maxiemendamenti per loro non c’è nulla. Ma a fare rumore, oltre che i precari della Regione, c’è a livello politico l’assenza del presidente Nello Musumeci, che ha lasciato la quasi totalità della discussione sulle spalle di Armao.