Al potere con la verità

NEW YORK – Quinta Salvemini Lecture all’Istituto Italiano di Cultura di New York venerdí sera, a sole tre settimane dalla quarta lezione, quella di Romano Prodi sull’Europa. Questa volta è il turno del ministro del Lavoro e delle Pari Oppurtunità, Elsa Fornero. Il titolo della lecture: “The Gender and Generations Perspective in the Italian Pensions and Labor Market Reform”.

Nell’introduzione, il Direttore dell’IIC, Riccardo Viale, annuncia il filo conduttore della “lecture” di Fornero. “Sono stato recentemente a un gala organizzato dalla Robert F. Kennedy Foundation, intitolato ‘Speak the Truth to Power’. Insegnano come si deve pretendere sempre la verità dal potere politico”.

Viale ha così continuato: “Il potere politico è forse obbligato a dire la verità ai cittadini? Senza farlo, potrebbe pretendere dai cittadini la responsabilità pubblica? In Italia ci sono due tradizioni: quella che risale al Machiavelli-Guicciardini, che considera il fine del potere politico più importante, con la verità un valore marginale ed evitabile. In Italia Togliatti e Andreotti sono stati classici rappresentanti. Ma c’è un’altra tradizione, quella rappresentata in Italia dal Partito d’Azione, in cui la verità assume un ruolo centrale nella politica. Senza dire la verità alla gente non si può infatti più chiedere la responsabilità etica dei cittadini nei confronti del bene pubblico. E’ vero che abbiamo anche bisogno di una retorica che diminuisca l’amarezza della verità, ma quando la retorica diventa troppo importante fino a distorcere la verità, si corrompono anche i fini dell’azione politica. Bobbio ci ha insegnato che il fine giustifica i mezzi solo quando i mezzi non corrompono i fini. E quando questo accade non ci si può aspettare che i cittadini non si comportino di conseguenza”.

Poi Viale collega il tutto a Fornero: “Dico questo, perché il governo Monti-Fornero ha avuto la tendenza a dire la verità. E nel farlo ha preteso dai cittadini altrettanta responsabilità etica nel difendere il bene pubblico. Sappiamo come sia difficile dire agli italiani che bisogna fare sacrifici. Elsa Fornero è stata tra le più radicali in questo approccio, e si può anche non essere d’accordo con le sue scelte nella ricerca delle soluzioni, ma la sua descrizione della realtà su cui agire è fondata sulla verità. Quindi si deve essere grati al ministro Fornero per avere cambiato lo stile di comunicazione nella politica italiana. Già, il parlare della verità col potere”.

Subito dopo la Prof. Nadia Urbinati della Columbia University ha presentato il ministro Fornero. E dopo aver accennato alla prestigiosa carriera accademica della Prof. dell’Università di Torino esperta di welfare e politiche pensionistiche, Urbinati ha toccato gli elementi caratteriali di Fornero: “In una intervista si veniva a sapere che Fornero rifiutava di partecipare in conferenze dove non c’erano altre donne invitate a parlare. Uguale dignità quindi alle donne nel lavoro come negli incarichi al governo. E’ umiliante dover ricordare ancora agli uomini” ha concluso Urbinati, “che sono tante le donne competenti in Italia, donne così brillanti nelle professioni e Fornero è un eloquente esempio di quale risultati possono raggiungere”.

Prendendo la parola, Elsa Fornero ha ammesso di non avere una relazione pronta: “La verità è che non ho avuto il tempo di prepararla, ma preferisco usare le mie parole che leggere qualcosa preparato da altri”. Così, per circa 40 minuti, la Fornero in piedi, a braccio, parlando un inglese più chiaro di quello ascoltato da altri professori nelle precedenti Salvemini Lecture:

“Vorrei condividere con voi le mie emozioni in questo anno trascorso da ministro. C’è stata molta amarezza in questa mia esperienza, ma sono anche molto orgogliosa di aver fatto parte del governo Monti. La crisi finanziaria di quei giorni era grave e soprattutto vera. Mi chiamò Monti nella tarda sera del 15 novembre 2011: ‘Lo sai perché ti chiamo?’ Ingenuamente risposi: vuoi che ti faccia gli auguri per il tuo governo? ‘No, voglio molto di più. Ti vorrei mio ministro’, rispose. In quel momento cominciai a tremare. ‘Sono certo che dirai di sì, ma se dovessi rifiutare, allora ti prego di dirmelo entro un’ora e mezza’, disse Monti. Sapeva che dovevo discuterne con mio marito e quello era il tempo che mi lasciò a disposizione per pensarci”. (sopra Mario Monti scruta i milioni di disoccupati che ha creato con il suo Governo…)

Il giorno dopo Fornero è già a Roma: “Immediatamente ci dovevamo confrontare con la crisi finanziaria. In quei giorni ricevetti un messaggio da un collega tedesco: ‘Devi essere orgogliosa di far parte di un governo che sta cercando di salvare l’euro e quindi l’Europa’. La situazione dell’Italia era tale che avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche su tutto il Continente. Era anche una sfida etica, ristabilire la fiducia dei mercati finanziari nell’Italia di poter ripagare il suo debito e gli interessi. Questo per darvi solo il senso dell’urgenza di come cominciammo a lavorare”.

Subito la riforma delle pensioni. “Una riforma che si occupa di tutte le generazioni, degli anziani, dei giovani così come di coloro non ancora nati. Perché il sistema delle pensioni è un contratto tra le generazioni, riformarlo ha un impatto su tutte le famiglie. In Italia la voce più grande della spesa pubblica era sempre diretta alle pensioni. Meno alle altre spese sociali, la scuola, la sanità, ai servizi per bambini per rendere possibile la partecipazione delle madri al mondo del lavoro… Bisognava riformare il sistema seriamente, per curare tante ‘malattie’ che avevamo nella società. Abbiamo alzato l’età pensionabile, non potevamo infatti tagliare le pensioni, ma per risparmiare dovevamo ritardare l’entrata nel sistema. C’era finora stata poca correlazione su quanto una persona aveva contribuito al sistema e quanto avrebbe ricevuto. Noi avremmo introdotto nuove leggi che avrebbero cambiato le regole, togliendo quella mancanza di trasparenza che aveva dato modo a chi era più ¨vicino al potere di riuscire ad accumulare privilegi. Abbiamo concepito il sistema pensionistico come risparmio pubblico, una assicurazione…”.

“Poi abbiamo equiparato le donne agli uomini, dando alle donne pari opportunità nel mondo del lavoro, facilitandone l’entrata e assicurando gli stessi salari, in quel modo evitandodi poi le ulteriori compensazioni. Adesso uomini e donne andranno in pensione alla stessa età. Nel fare la riforma, abbiamo avuto una forte opposizione dalle organizzazioni sindacali, ma alla fine siamo riusciti a ridurre la spesa del settore pensionistico, riforma cruciale per la situazione italiana. Quel primo decreto del governo Monti fu chiamato ‘decreto salva Italia’, la misura più significativa per avere un budget più equilibrato non solo per quell’anno ma per il futuro”.

Questa prima misura non fu facile, gli italiani non la capivano ricorda Fornero: “Dovevamo spiegare loro che la crisi finanziaria non era qualcosa lontana dalle loro vite, che se non si agiva immediatamente si rischiava di non poter pagare gli impiegati pubblici e pure le pensioni. E’ più facile convincere la popolazione che per evitare un collasso finanziario alcune misure urgenti devono essere prese, ma poi quando la catastrofe viene evitata, la gente dimentica il pericolo scampato e vede solo i sacrifici che gli sono stati richiesti di fare. Noi abbiamo cercato di spiegarlo usando il linguaggio della verità, ma è stato difficile anche perché siamo in una recessione profonda”.

E qui Fornero introduce un altro aspetto problematico dell’economia italiana. “Bisogna comparare la crescita dell’economia italiana negli ultimi 15 anni rispetto all’indice di crescita di altre economie europee. Mentre in questi anni l’economia è cresciuta altrove, in Italia ha avuto minimi indici di crescita o addirittura è andata in negativo. Cosa significa? No, questa volta la crisi finanziaria non c’entra, si tratta di un problema strutturale. E qui entra in gioco il mercato del lavoro. Un mercato complesso che non risponde alla richiesta di domanda e offerta. E soprattuto che non permette la produttività. La produttività per lavoratore è il fattore cruciale che pemette la crescita economica. Se non c’è un incremento nella produttività, non avviene la crescita.

Attaccare queste mancanze strutturali è difficilissimo. Mi è stato chiesto di portare a termine una riforma del mercato del lavoro. Ovviamente i problemi strutturali di un Paese si affrontano con diversi tipi di riforme, come le liberalizzazioni, rendendo alcuni settori più competitivi e meno protetti, semplificando la nostra burocrazia… Ma in questo caso la riforma più difficile era quella del lavoro. Con la riforma delle pensioni noi non abbiamo avuto un dialogo con i rappresentanti sociali, non c’era il tempo bisognava agire subito per evitare la catastrofe. Ma sulla riforma del lavoro decidemmo di confrontarci con le parti sociali, quindi i sindacati, la Confindustria…”.

“Non è stato facile tra queste domande conflittuali, ci spettava trovare un equilibrio, ma anche scontentare entrambe le parti. Ho ricevuto critiche accese. Eppure le riforme dovevano procedere per avere un mercato del lavoro italiano più inclusivo e allo stesso tempo più dinamico. Inclusivo che significa? Un mercato del lavoro che non escluda i giovani, le donne e chi è rimasto ai margini del lavoro. Pensare agli svantaggiati, ecco la nostra riforma per far trovare lavori non più precari”.

Ed ecco il secondo aspetto della riforma Fornero sul lavoro: “Il dinamismo contro la staticità del lavoro: per esempio ridurre il tempo tra la fine della scuola e l’entrata nel mondo del lavoro. Poi anche riconoscere che la gente possa perdere il lavoro, ma che un’economia dinamica consente al lavoratore disoccupato di trovare in tempi brevi un altro lavoro. Una delle caratteristiche della società italiana è che molte donne lasciano il lavoro dopo il primo figlio. E’ un segno che non pensiamo in termini di uguale opportunità. Avere un figlio non dovrebbe impedire di poter continuare a lavorare”.

Una riforma difficile dalla quale Fornero ha imparato una dura lezione: “Da questa esperienza ho imparato quanto sia abbissale la distanza tra l’essere degli accademici e l’essere chiamati a decidere sulla vita delle persone. Noi siamo astratti, stiamo chiusi nei nostri uffici, parliamo solo con i colleghi, presentiamo delle relazioni, le pubblichiamo e questo è il nostro lavoro, molto facile. Essere un ministro è piú complicato. Ci sono impedimenti sociali, finanziari, internazionali, ostacoli enormi per riuscire a raggiungere una riforma. E’ così difficile decidere su quello che ha effetti così forti sulla societá”.

Quindi, ammette Fornero, “l’essere in grado di comunicare alla gente le riforme è altrettanto importante. Questo perché una buona riforma è quella che riesce a ricevere l’appoggio della gente e quindi a cambiarne l’attitudine nei confronti di certi problemi. Bisogna intercettare le aspettative delle persone e i loro valori, e in certi casi bisogna spingerle a cambiare certi comportamenti e attitudini attraverso degli incentivi. Non esiste la riforma perfetta. Queste accadono in particolari circostanze. Se guardiamo alle riforme in Germania, hanno funzionato. Ma noi non siamo tedeschi, siamo italiani nel bene e nel male. Questo significa che dobbiamo trovare le nostre riforme. La verità è che abbiamo bisogno di un approccio pragmatico, che è l’opposto dell’approccio ideologico. Pragmatismo significa pensare di avere la soluzione giusta. Pensare di averla, non di esserne sicuri. Significa cioè essere intellettualmenti onesti, guardando alla performance di una riforma nella società e quindi essere disposti a cambiare ciò che non sta funzionando come ci aspettavamo, e invece rafforzando ciò che sta funzionando bene”.

Per Fornero, è “questo che ha carratterizzato il comportamento del governo chiamato dei tecnocrati. Noi stiamo finendo la nostra missione nei prossimi mesi, ormai direi il prossimo mese e ci sono stati sicuramente degli errori. Ma abbiamo fatto un enorme lavoro nel cercare di recuperare il Paese da quel processo di declino a cui sembrava destinato. Ripeto i due aspetti: quello finanziario, per un Paese che ha un grande debito e l’altro, quello del peso strutturale, ormai troppo debole per una economia moderna. Noi abbiamo soltanto iniziato le riforme, non sono finite. Io sono sicura che questa missione sarà proseguita dai futuri governi. Bisognerà agire seguendo le medesime linee, ripeto linee. Qualcosa potrà essere cambiato, ma le linee tracciate nella direzione giusta sono sicura verranno mantenute, perché questa è la direzione per la crescita. Non parlo solo di quella economica, ma soprattutto di quella etica, per il rafforzamento dei valori etici nella nostra societá. Su questo penso che il nostro governo abbia svolto il suo compito”.

 

Alla fine della “Salvemi Lecture”, abbiamo posto questa domanda al ministro Elsa Fornero:

L’ex direttore dell’Economist, Bill Emmott, ha presentato in questi giorni un film a New York, intitolato “Girlfriend in a Coma”, un documento assai critico nei confronti dell”italia, seppur Emmott dice di amarla appunto come una fidanzata. Emmott intervista Sergio Marchionne e il CEO Chysler/Fiat gli dichiara: “Dei 4,1 miliardi di utile operativo che abbiamo dichiarato nel 2011, non un solo euro è venuto da questo Paese – non uno. Abbiamo nell’insieme più di 260mila dipendenti nel mondo; all’incirca 80mila in questo Paese. Non posso dire agli altri 180mila che non sono di qui che il loro ruolo nella vita è quello di fornire un sussidio a un sistema inefficiente, non-competitivo e sub-ottimale. Non posso”.

Ministro Fornero, che ne pensa di queste dichiarazioni di Marchionne che fanno il giro del mondo? E senza il governo Monti, l’Italia potrá uscire dal coma?

“La risposta è sì. Anche se ammiro Monti e tutto quello che ha fatto al governo, nessuno è indispensabile e dobbiamo accettare il fatto che tutti possono essere sostituiti. Per quanto riguarda Marchionne, vale quello che ho detto prima nel mio intervento. L’Italia ha bisogno di interventi strutturali oltre a doversi confrontare con la crisi finanziaria. Quest’ultima non era il problema principale, era quello più imminente, ma i grandi problemi dell’Italia sono strutturali. Noi abbiamo lavorato per far ridiventare l’Italia un Paese dove si possa investire, tornare ad essere attivi e produttivi. L’Italia è un Paese che deve mantenere la sua produzione industriale e manifatturiera, non può contare solo sul turismo, deve continuare a produrre prodotti per cui siamo ammirati nel mondo. Il nosro obiettivo deve essere di far tornare l’Italia non un Paese dove si chiudono le industrie ma dove si investe anche dall’estero e ci riusciremo. E, concludo, quando si accetta di fare il ministro è essenziale restare ottimisti. Non si può svolgere un incarico di questo tipo senza esserlo”.

 

 

 


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