Acireale, si smontano i binari del trasporto agrumi Dalla Riviera dei limoni spariti 7mila ettari coltivati

Quando tra gli scaffali di un supermercato di Milano ci si trova a scegliere fra un chilo di limoni spagnoli e i ben più familiari limoni siciliani, il dilemma diventa se farsi guidare dalle radici o dal portafogli. Con la stessa cifra si mettono sulla bilancia una busta di agrumi provenienti dall’estero a fronte di due-tre limoni isolani. Ma «fino agli anni Ottanta non era così – racconta Giovanni Basile, commerciante di agrumi dell’acese -, oggi non siamo più concorrenziali e i nostri limoni restano a marcire sugli alberi». Così, proprio in questi giorni, quasi come ultimo atto di una crisi irreversibile, nella stazione ferroviaria di Acireale, la città della Riviera dei limoni, sono stati avviati i lavori di dismissione dei binari utilizzati per il trasporto di agrumi.

«Poco più di trent’anni fa partivano da quella stazione cento vagoni di agrumi al giorno, circa diecimila chili di merce per ogni vagone – spiega l’agronomo Corrado Vigo -. Per sostenere questi volumi di traffico la stazione venne ampliata, ma oggi si era arrivati al trasporto di un solo vagone al giorno o alla settimana. Mantenere quei binari – spiega Vigo – sarebbe stato del tutto inutile».

La drastica riduzione del trasporto su rotaia è avvenuta, negli anni, a vantaggio del trasporto su gomma per motivi legati, soprattutto, alle tempistiche. «È normale che una parte di ferrovia sia stata dismessa – spiega Basile -, quei binari non servono più. Servono tre giorni perché la nostra merce arrivi al nord e non possiamo permettercelo, considerato anche che si tratta di prodotti deteriorabili».

Giovanni Basile è tra i pochi commercianti di agrumi rimasti nell’acese. La sua azienda ha aperto i battenti nel 1949: «Ha iniziato mio nonno a commerciare agrumi, ma quelli erano altri tempi per la nostra terra – racconta. Nel solo territorio di Acireale c’erano circa settanta magazzini. Ora sono da solo e quest’anno molto probabilmente – spiega – mi toccherà chiudere l’azienda».

Il commerciante racconta che gli agrumi erano prevalentemente destinati a mercati esteri: Francia, Germania, paesi dell’Est. «Dai porti di Riposto e Catania partivano le navi che avrebbero portato i nostri prodotti in Russia – ricorda Basile -, la Sicilia era il maggior produttore di limoni del Mediterraneo. Poi con la caduta del muro di Berlino il mercato è cambiato. I nostri acquirenti erano i privati che puntavano a prezzi più bassi. Noi invece non eravamo abbastanza concorrenziali rispetto ad altri Paesi – spiega -. Spendevamo molto nella raccolta, nella lavorazione e soprattutto nel trasporto, vista la nostra posizione geografica».

Moltissima gente viveva dell’indotto della produzione del limone, simbolo siciliano ed in particolare della costa ionica. C’erano «le segherie che preparavano gli imballaggi per la spedizione – spiega Basile -, la fabbrica che produceva la carta velina e stampava il marchio della ditta, quella che produceva la retina e il nastro per il confezionamento». Esistevano poi varie figure che orbitavano intorno al settore, come i «sensali», mediatori che si occupavano dell’acquisto e della vendita locale del limone. I «carrettieri» che trasportavano il prodotto nelle «cascie» dalla campagna ai magazzini. «U scartataru», che comprava lo scarto della produzione per avviarlo all’industria di trasformazione in succhi. La «carovana» che aveva il compito di caricare e sistemare i colli all’interno dei vagoni. Gli spedizionieri che preparavano la documentazione per lo sdoganamento e la vendita all’estero. E i «malazzinari», che all’interno di grandi magazzini preparavano e confezionavano il prodotto.

Secondo l’esperto «la politica, che ha abbandonato il settore agrumicolo, adesso deve decidere come intervenire – commenta Corrado Vigo – Basta pensare alla nostra rete ferroviaria, dove far arrivare le merci a Napoli e all’alta velocità è un inferno. Il tratto Catania-Messina è ancora monobinario. C’è una piccola ripresa dei prezzi dei limoni, ma questo non basta – spiega Vigo -. È importante agire subito, la costa ionica ha già perso settemila ettari di agrumeti. Il trasporto su ferrovia costa un centesimo per ogni chilo di agrumi, quello su gomme dieci-quindici – conclude l’esperto – incentivi e infrastrutture sono le priorità per la sopravvivenza del settore»


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