A chiudere il percorso del centro di eccellenza per le malattie neuromuscolari nella città dello Stretto è lo stesso gestore. A pochi giorni dal trasloco e senza opzioni valide all'orizzonte. Un epilogo rapido e non troppo chiaro ai cittadini in cura
Nemo Sud, la fondazione Aurora: «La storia finisce qua» Oltre la politica, le strade che lasciano in panne i pazienti
Una corsa contro il tempo e, pare, contro il nulla. È quella delle migliaia di pazienti del Nemo Sud di Messina, centro di eccellenza nella cura delle malattie neuromuscolari. E, per alcune di esse, unico centro accreditato in Sicilia – e non solo – per le terapie. Dopo il divorzio dal Policlinico della città dello Stretto, che finora aveva ospitato la struttura, la scadenza era fissata al 30 maggio, giorno del trasloco. In assenza di una soluzione – ma con tante promesse -, era chiaro a tutti che la questione fosse critica: disperata, ma non del tutto persa. E invece è arrivata ieri, con qualche giorno d’anticipo, la parola fine. Apposta dallo stesso centro con una nota, in cui si annunciava l’intenzione di disertare il tavolo previsto per oggi al Comune di Messina. «La storia finisce qua. Il percorso di Nemo Sud, a Messina, termina oggi», scrivevano ieri dalla fondazione Aurora, che gestisce il centro. Nota poi scomparsa dai social network, ma confermata nella sostanza dall’ente peloritano, che ha preso atto della decisione e annullato l’incontro.
Il motivo va cercato tra le righe della nota, in chiaroscuro: «Non ci riguardano le beghe politiche, siamo sempre stati attenti a non lasciarci strumentalizzare e non abbiamo strumentalizzato», scrivevano dal centro. Impossibile non leggere un riferimento alla contrapposizione politica, in vista delle prossime elezioni regionali siciliane, tra l’attuale sindaco di Messina Cateno De Luca e il governatore in carica, Nello Musumeci. Quest’ultimo raggiunto, negli ultimi giorni, dallo sdegno dei pazienti che non gli perdonano il silenzio dopo un incontro a inizio maggio in cui erano state promesse soluzioni per una nuova sistemazione del Nemo Sud. E in fondo il problema pare essere proprio questo: la politica non avrebbe il tempo e, forse, neanche il modo per risolvere la questione.
Le strade sembrano essere solo due. Entrambe non rapide da percorrere e che, nell’attesa, lasciano comunque a piedi i pazienti, alcuni dei quali fisicamente impossibilitati a raggiungere Napoli, altra sede del Sud. La prima opzione prevede un bando di gara a evidenza pubblica, a cui può partecipare la fondazione Aurora così come altri soggetti. La seconda è che un’azienda ospedaliera siciliana non dipendente dal pubblico apra le proprie porte al progetto, con una convezione per una sperimentazione altamente specialistica. L’importante è che, in entrambi i casi, si tratti di strutture ospedaliere complesse che garantiscano l‘interdisciplinarietà che è alla base del successo del centro Nemo Sud, dove arrivano pazienti che alla loro patologie – dalla Sla alla Sma – accompagnano necessità cardiologiche, ortopediche o di esami specifici come la tac. Pre-requisito di fondo, però, è che pubblico o privato pensino al servizio specialistico per la cura delle malattie neurologiche come a una necessità essenziale.
E qui, leggendo sempre tra le righe – ma neanche troppo – della nota del Nemo Sud, sembra stare l’altro masso che blocca la strada. «Confidiamo nell’efficienza amministrativa del Policlinico, nella professionalità dei suoi sanitari e nella competenza dei docenti universitari che saranno certamente in grado di rispondere alle esigenze dei pazienti e non faranno rimpiangere la nostra assenza, la quale, evidentemente, nonostante i pubblici plausi, non è poi così problematica». Che traducendo suonerebbe come un «Pensate di farcela da soli? Vediamo che succede». Con un riferimento neanche troppo velato ai motivi della rottura con la struttura ospedaliera: ossia la nuova convenzione che vedeva l’impiego di personale universitario e non dei professionisti del centro. Un modo, forse, per rivendicare la propria storia, scacciare l’idea di trovarsi con il piattino in mano a chiedere qualcosa e aprirsi solo a corteggiatori seriamente intenzionati. Un modo, però, che lascia per strada cinquemila pazienti.