Antonio, 37enne catanese, è rinchiuso nella casa circondariale di Trapani per reati di droga. Gli è stato diagnosticato il morbo di Crohn che lo rende un soggetto particolarmente vulnerabile, soprattutto in questa emergenza. Ma il tribunale nega i domiciliari
In carcere nonostante la malattia, l’appello della famiglia «La burocrazia non deve travolgere il diritto alla salute»
Una storia di ordinaria burocrazia e di diritti negati. Una storia, quella che arriva dal carcere Pietro Cerulli di Trapani che però potrebbe avere anche esiti drammatici. Protagonista è Antonio, catanese di 37 anni, con alle spalle trascorsi di tossicodipendenza ed affetto dal morbo di Crohn. Condannato per reati di droga, aggravati da evasione dai domiciliari, deve scontare due anni. Nonostante la grave patologia che lo rende un soggetto particolarmente vulnerabile, soprattutto in questo periodo di emergenza, si trova ancora rinchiuso dietro le sbarre. A diagnosticare la sua malattia è stato il policlinico Vittorio Emanuele di Catania. E a sollevare il velo sulla sua vicenda è la mamma, che non si rassegna a vedere il figlio chiuso in carcere a rischio della vita o, nella migliore delle ipotesi, a rischio di un aggravamento di una malattia molto complessa.
A confermare il grave quadro sanitario è il difensore dell’uomo, l’avvocato Carmen Tomaselli. La malattia di Crohn determina perdita di peso, costanti diarree anche con perdita di sangue, varie complicazioni che se non adeguatamente curate degenerano in gravi emorragie intestinali, necrosi dei tessuti intestinali che è necessario rimuovere chirurgicamente; si può giungere fino alla morte in breve tempo. Il morbo si cura con terapia farmacologica, ma soprattutto con una attenta e studiata dieta alimentare, difficilmente praticabile in una struttura carceraria.
La madre e il legale sono fortemente preoccupati, perché l’interlocuzione con la casa circondariale Pietro Cerulli è stata sporadica e lacunosa, e soprattutto perché, denuncia l’avvocato, le comunicazioni ufficiali, via mail e a mezzo pec, indirizzate alla direzione carceraria e alla direzione sanitaria, non hanno ancora avuto risposta e solo le numerose e pressanti telefonate della madre del 37enne hanno aperto uno spiraglio e la concessione di qualche colloquio telefonico. La richiesta della madre e del difensore è semplice: i benefici degli arresti domiciliari.
«Quello del mio assistito – dice l’avvocato – è uno di quei casi, non il primo, non l’unico e forse purtroppo neppure l’ultimo, in cui i meccanismi della giustizia, pur regolati da leggi e procedure, travolgono un diritto ben più rilevante: il diritto alla salute». La convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce ai detenuti in precarie condizioni di salute come Antonio «maggiore tutela proprio per lo stato di vulnerabilità della situazione in cui versano e per il fatto di trovarsi totalmente sotto la responsabilità dello Stato».
Il legale ha presentato una nuova istanza di scarcerazione presso il Tribunale della libertà. La prima, avanzata dallo stesso 37enne appena una settimana dopo il traferimento dalla comunità di recupero dove si trovava al carcere, è stata rigettata dal giudice di sorveglianza. «Non ho neppure ricevuto le motivazioni del primo rigetto – dice il legale – adesso spero in un esito positivo e che il giovane possa essere trasferito ai domiciliari dove può ricevere le giuste cure. Dietro quelle mura e dietro ogni numero di matricola – conclude l’avvocato Tomaselli – ci sono uomini e donne di cui non possiamo ignorare bisogni e diritti».