Un campo di fortuna, dodici studenti e un pallone. Nasce il 22 gennaio del 1933 la pallacanestro a Catania, all'interno del reclusorio della Purità. A raccontarne la storia - fatta soprattutto grazie a giovani giocatori che negli anni si sono succeduti con più o meno successo - è Roberto Quartarone. Appassionato di questo sport, ha pubblicato di recente Il libro d'oro del basket catanese
Il basket catanese? E’ nato alla Purità Ottanta anni di canestri sotto al vulcano
Ottanta anni fa, il 22 gennaio del 1933, in un campo di fortuna ricavato da dodici studenti all’interno del reclusorio della Purità, nasceva il basket catanese. Ma da quei gloriosi primi tiri della palla al cesto, iniziati nel cortile di quello che, fino al 2009, era il Centro popolare Experia sembra essere cambiato poco: tanti appassionati, soprattutto tra i giovani, ma pochi impianti dove praticare lo sport. «Dal 1933 ad oggi, il basket etneo si è caratterizzato soprattutto per il suo lavoro con la base e le giovanili, più che con le squadre senior», spiega infatti Roberto Quartarone, da anni appassionato cronista della pallacanestro etnea e primo a dedicare alla sua storia un intero volume. «Si chiama Il libro doro del basket catanese, ed è un lavoro di ricerca che ho iniziato già a tredici anni, nel 1999», spiega Roberto. E, anche grazie al suo lavoro, lo scorso 2 febbraio, la Federazione italiana pallacanestro provinciale ha deciso di inaugurare una Hall of fame del basket a Catania.
Quali sono le location storiche del basket a Catania? Le strade, i campi, ma anche (come dimostra la foto fatta al chiostro di ponente del Monastero dei benedettini) i luoghi di fortuna.
«In realtà, proprio il chiostro di ponente dei Benedettini (la palestra Umberto I del liceo Spedalieri) è stato il secondo campo del basket catanese a cavallo della guerra mondiale. Non era un campo di fortuna: si giocavano lì regolarmente i campionati anche di baseball e altri sport, la S.S. Catania (l’unica fallimentare volta che la squadra di calcio catanese tentò di mettere su una polisportiva moderna) giocò lì le finali per la promozione in Serie B nel 1951. Il campo storico rimane il PalaSpedini, il palazzetto per eccellenza dove giocò anche la nazionale maggiore due volte e si disputò un girone eliminatorio di un europeo femminile; si giocava prima fuori, all’aperto, e poi dentro, e fu grazie al basket che il campo venne coperto. Era il migliore impianto del Sud, fu per quello che nel 1973 lo Sport Club venne ripescato in Serie B pur non essendo una delle migliori squadre del panorama, ma la crescita della pallavolo obbligò i cestisti ad emigrare».
Quali sono le location attuali e le palestre giovanili rappresentative?
«Non c’è un centro, ma una periferia del basket a Catania. Le palestre scolastiche, specialmente degli istituti privati, rimangono il motore delle giovanili, ma l’unico impianto comunale è il PalaGalermo (con tutti i problemi del caso) e gli impianti universitari (PalaCus e PalaArcidiacono) reggono il resto dell’attività. Fino a qualche anno fa c’era anche il Pala Zurria a San Cristoforo, anche questo impianto comunale, ma problemi di autorizzazioni per le squadre e i costi alti, come praticamente ovunque, fanno restare attivi solo questi tre impianti. A cui si aggiungono gli unici campi all’aperto utilizzabili liberamente: quello di Sant’Agata Li Battiati e quello di piazza Nettuno a Catania. Ma spesso ci sono i canestri rotti».
C’è un lungo elenco di personaggi storici del basket che ha partecipato giorno 2 alla cerimonia per gli 80 anni di basket a Catania. Secondo te chi sono i più rappresentativi in assoluto?
«Sono tutti personaggi molto rappresentativi. Se fossi io a scegliere i vincitori, direi Angelo Destasio e Valeria Puglisi, due gran belle persone prima che ottimi giocatori; la squadra della Grifone 1959-60, perché un gruppo di ragazzini catanesi con un ragusano e un trapanese riuscì a salvare la Serie A seconda serie; Santi Puglisi, per quello che ha fatto e perché se fosse rimasto a Catania avremmo ottenuto grandi successi negli anni ’70; Bicchierai, per non dimenticarci che lo sport è passione…!».
Hai scritto un libro sul basket sotto l’Etna dopo quello sul Catania calcio, sei quasi uno storico dello sport in città. Dove hai reperito le informazioni? C’era già un lavoro precedente al tuo? Quanto tempo hai impiegato?
«Le due pubblicazioni sono lo sbocco di ricerche in biblioteca, soprattutto l’Ursino Recupero e la Bellini, iniziate nel 1999. Spesso ci sono andato con gli altri autori di Tutto il Catania minuto per minuto per le ricerche sul calcio, recuperando allo stesso tempo informazioni sul basket. Ma in realtà il libro sul basket si basa molto di più sulle testimonianze, la maggior parte delle quali sono state oggetto della mia tesi di laurea triennale nel 2008 e già rese pubbliche attraverso il mio blog, Basket Catanese. Ma nessuno aveva tentato mai prima qualcosa del genere con il basket. Non c’è stato nemmeno un tentativo di distorsione storica come spesso successo con il Calcio Catania: non se n’è mai parlato e basta».
E visto che ti sei occupato di calcio, ma la tua passione è il basket, ti chiediamo: quanto è forte il movimento giovanile rispetto appunto alle centinaia di squadre di calcio e calcetto? Quanto è professionale, competitivo rispetto al panorama nazionale, rispetto ad altri sport praticati ad alto livello? Ad esempio la pallavolo, o ancor di più la pallanuoto…
«Sfortunatamente, il movimento cestistico giovanile catanese non solo non si può paragonare a quello calcistico, ma nemmeno a quello pallavolistico. Troppi progetti negli ultimi anni sono iniziati e sono scoppiati, finendo per tralasciare l’attività con i ragazzi per inseguire stentati sogni di gloria. Questo vale sia per il settore maschile che per quello femminile. Ora la migliore squadra della città è in C2 (un campionato per le società della Sicilia orientale), quella femminile è in B (girone unico siciliano), ci sono Acireale e Paternò in DNC maschile (in un girone monco per le troppe rinunce a causa della crisi economica, con squadre siciliane e calabresi). Acireale/Cus Catania e Rainbow hanno dei progetti interessanti, che sembrano rivolti ai giovani, ma ancora siamo ben lontani da disegni ambiziosi. Il libro, dopotutto, dovrebbe servire anche a questo: ricordiamoci dei tanti errori del passato, dei corsi e ricorsi storici, dei passi più lunghi della gamba, per progettare meglio il futuro. Io sono sempre speranzoso e quindi spero che questi progetti portino i frutti, soprattutto per il lavoro giovanile».