Dopo la sentenza parla il legale della famiglia Borsellino «Accolte le nostre richieste, ora si indaghi fino al Viminale»

«Siamo soddisfatti delle motivazioni della sentenza, così come lo fummo del dispositivo, perchè sono state accolte tutte le nostre richieste». Fabio Repici è l’avvocato di Salvatore Borsellino, che si è costituito parte civile nel procedimento che consegna – alla storia giudiziaria e, perchè no, a quella politica – un altro tassello nell’intricatissimo percorso che i familiari del giudice ucciso il 19 luglio 1992 hanno intrapreso da tempo. Eppure, forse, le 1865 pagine redatte dalla Corte d’Assise di Caltanissetta lasciano ancora qualche punto oscuro. Come ad esempio i moventi e i mandanti di quello che gli stessi giudici hanno definito «uno dei più gravi depistaggi della storia italiana», attuato da elementi interni allo Stato.

«Sul movente non ci sono buchi – afferma  perchè in realtà la Corte esplicita che il depistaggio è servito a tenere occulta la responsabilità di più concorrenti esterni a Cosa nostra. Anzi, addirittura i giudici in una nota fanno una citazione di un mio intervento a proposito delle dichiarazioni di Spatuzza sulla presenza, al momento del caricamento dell’esplosivo sulla 126, di un personaggio esterno, probabilmente un uomo dei servizi segreti o di apparati di polizia». Ma quando si usa in questi casi l’espressione apparati deviati, non c’è il rischio di essere fuorvianti? Nel senso che comunque sono figure dello Stato, quindi interne. Dov’è che sarebbero “deviate”? «Nel senso che poiché la nostra Costituzione è ancora in vigore non credo che si possa ammettere che esponenti della polizia di Stato o dei servizi segreti abbiano come incarico quello di compiere stragi – afferma ancora Repici -. Quindi è evidente che sono deviati rispetto alla Costituzione e alle leggi». E che si sarebbero poi mossi, fa notare ancora il legale, «contro gli interessi del Paese che avrebbero dovuto servire».

Le responsabilità sono state individuate dal pool dell’ex capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera. «Sicuramente non ha potuto fare tutto La Barbera. Lui è sì il capo del gruppo investigativo ma anche l’esecutore di volontà superiori che vanno a ricercarsi lungo la scala gerarchica della polizia e del Viminale». Ma quali sono i prossimi passi che possono essere auspicati? La sentenza, infatti, lascia aperti più punti che dovrebbero essere poi approfonditi dalla Procura di Caltanissetta. «Il primo è che nella strage sono coinvolti elementi esterni a Cosa nostra: vanno individuati e messi sotto processo. Non è più un’ipotesi l’esistenza di concorrenti esterni alla mafia, ma un fatto certo e indubitabile. In secondo luogo andrebbe fatto un processo per il trafugamento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, sul quale la sentenza scrive parole pesantissime. Peraltro è stata effettuato un ingrandimento sull’allora capitano Arcangeli che si allontana, pochi minuti dopo l’esplosione, con la borsa di Paolo Borsellino. Quell’uomo fu processato e poi assolto, anche perchè in quel processo rinunciò alla prescrizione. Quindi la procura di Caltanissetta potrebbe procedere di nuovo contro Arcangioli. In terzo luogo andrebbe realizzato un processo sui depistaggi. Sono tre campi di intervento che dovrebbero impegnare allo spasimo la Procura di Caltanissetta. 

In un intervento televisivo ieri Salvatore Borsellino ha poi puntato il dito sui magistrati che hanno creduto e avallato la vicenda dei falsi pentiti. Creando qualche polemica. «Non vedo perchè – commenta il legale -. Lo dice anche la sentenza, è scritto che c’è stato un “operare indebito” dell’allora capo della Procura di Caltanissetta Giovanni Tinebra, e quanto ai magistrati che hanno avallato il depistaggio Scarantino basta andare, ancora oggi, sul sito di radio radicale e ascoltare la conferenza stampa del 19 luglio 1994 della Procura a commento dei primi arresti con le dichiarazioni di Scarantino».


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