A sala delle Lapidi sono stati commemorati il giornalista e l'avvocato che furono messi a tacere per sempre dai corleonesi. «La memoria per me è soprattutto un atto di giustizia» ha detto il figlio del cronista, da poco presidente dell'Odg Sicilia
La giornata del ricordo di Mario Francese e Ugo Triolo Uccisi dalla mafia il 26 gennaio, a un anno di distanza
Due professionisti scomodi, uccisi dalla mafia a un anno di distanza, «accomunati dalla stessa autorevolezza morale, passione per il proprio lavoro ed entrambi dimenticati». Così il prefetto di Palermo, Antonella De Miro, ha ricordato il giornalista Mario Francese e l’avvocato Ugo Triolo, uccisi il 26 gennaio a Corleone. «Un Comune sciolto per infiltrazioni mafiose – ha aggiunto il prefetto – dove c’è una commissione che sta lavorando bene per interpretare questo incarico come un lavoro di servizio a sostegno di una comunità cambiata».
L’iniziativa è stata organizzata dal comitato 26 gennaio nella sala delle Lapidi del Comune di Palermo, alla presenza del sindaco, Leoluca Orlando, di Giulio Francese, presidente dell’Ordine dei Giornalisti Sicilia e figlio di Mario Francese, Dario Triolo, figlio dell’avvocato assassinato nel 1978, l’avvocato Enza Rando di Libera, e i familiari delle vittime di mafia. «All’epoca dei fatti avevo 16 anni e ricordo ancora il rumore degli spari che colpirono Triolo», ha detto Pippo Cipriani, ex sindaco di Corleone, rivolgendosi agli studenti del Palermitano presenti in aula.
«Mio padre era una persona stimata per il suo attaccamento al lavoro e la fiducia nello Stato – ha detto Dario Triolo – e raccontava con orgoglio che era nel nostro Dna essere antimafiosi, con mia nonna che aveva messo alla porta il dottore Navarra». «Durante gli anni delle guerre di mafia in Sicilia i morti hanno fatto registrare percentuali colombiane», ha ricordato lo storico Nino Blando. «In qualche modo l’omicidio di Mario Francese – ha detto il giornalista Felice Cavallaro – per i corleonesi ha rappresentato un palcoscenico per dimostrare di essere arrivati al cuore di Palermo».
Quasi 40 anni macchiati dal fango, però, anni nei quali «alcuni giornalisti hanno liquidato Mario Francese come un informatore, un delatore – è stato ricordato dal prefetto – e ci sono voluti 27 anni per avere una targa. È stato un dramma nel dramma per la pretesa di verità del figlio Giuseppe che non è riuscito a sopravvivere a una città che non aveva ancora fatto i conti con le sue ferite aperte e la sua storia».
Tra le iniziative in ricordo oggi in città anche la proiezione del film Delitto di mafia: Mario Francese, al cinema Rouge et noir. «Il giornalista deve avere una sua credibilità certificata dalla gente, come l’aveva mio padre – ha dichiarato il presidente dell’odg siciliano – nonostante molti abbiano cercato di farlo passare per un visionario. Memoria per me è soprattutto un atto di giustizia, riconoscere il valore e l’impegno, come nel caso dei giornalisti ancora oggi minacciati».
Il figlio di Triolo ha poi ricordato che il padre era stato anche «pubblico ministero in un processo a Luciano Liggio – ha detto – ma iniziò a essere preoccupato dopo la morte del colonnello Russo. Ricordo un momento in macchina, con mia sorella, pochi giorni prima di essere ucciso. Un motociclista ci aveva affiancati per quella che poi si è rivelata una normale manovra di sorpasso, ma per quei pochi istanti è apparso molto agitato. Non ne abbiamo parlato apertamente, poi, quasi due settimane dopo, la tragedia».