La presentazione di Potere di link, saggio di Rosa Maria Di Natale, si trasforma in un seminario sull'Informatica Umanistica. Che non è affatto, come potrebbe sembrare, una disciplina da delegare a iper-esperti settoriali
L’informatica? Non è mai stata così umana
«Ho dedicato il libro ai miei genitori, ma anche ad Enrico Escher che ha scritto la prefazione. “Potere di link” è partito come un lavoro da fare insieme, con Enrico, che mi ha trasmesso una cosa soprattutto: non pensare che la curiosità sia appaltata solo a chi è strettamente competente di un settore». Con queste parole Rosa Maria Di Natale, giornalista e docente a contratto di “Giornalismo e nuovi media” alla facoltà di Lingue di Catania, chiude la presentazione del suo nuovo saggio. Parole che sintetizzano al meglio un vero e proprio seminario, nel corso del quale si è spaziato da Italo Calvino alle nuove interfacce touchscreen, passando per l’etica nel sistema dei diritti d’autore. Si è parlato persino di cucchiai. Il potere di link coincide del resto con “la possibilità, per il lettore e l’autore, di andare oltre il testo analogico”. Un discorso che sembra potersi estendere alla cultura in senso più ampio, come emerso dal dibattito: a esporre questi temi al numeroso pubblico presente al “Coro di Notte” del Monastero dei Benedettini, insieme all’autrice i relatori Salvo Marano, docente di Lingue e Letterature Angloamericane sempre alla facoltà di Lingue di Catania, e Gino Roncaglia dell’Università della Tuscia, docente di Informatica Umanistica.
«Perché una giornalista si occupa di certi temi?» Rosa Maria Di Natale si sostituisce al pubblico e risponde alla domanda che in molti vorrebbero fare: «perché credo che il mondo umanistico e della scienza si debbano incontrare, e gli strumenti informatici risvegliano l’interesse per la scienza in persone con spiccate capacità in campo umanistico». Come appunto l’autrice del saggio. Il termine Informatica Umanistica «sembra quasi un ossimoro – evidenzia il professore Salvo Marano, interpretando lo scetticismo verso una disciplina di cui non si era mai sentito parlare prima a Catania – ma che le cose non stiano così e che si tratti di una disciplina concreta e ricca di spunti lo mette in chiaro l’autrice nel suo volume, con i vari argomenti presentati in maniera ben leggibile ma rigorosa». “Potere di link” è una introduzione a questa nuova disciplina, «un percorso per lo studente di Scienze della Comunicazione». Percorso che Gino Roncaglia divide in tappe: «il testo si occupa di quattro macro temi: l’ipertesto, l’e-book, l’archivio e il deposito della cultura, l’editoria in rete». Temi che verranno tutti affrontati nel corso del dibattito.
Gino Roncaglia – fra i pochissimi esperti italiani della disciplina – dopo una disamina del concetto di ipertesto «presente da sempre nella cultura; basti pensare alle note a pié di pagina, fino ad arrivare alla narrativa, con le sperimentazioni di Calvino», porta il dibattito sugli e-book. «Dopo averne magnificato le qualità, fra i fallimenti più grandi delle DOT COM nel 2001 si ricordano proprio i libri elettronici. Si tratta di un fallimento o del futuro?». Roncaglia sembra non avere dubbi: si tratta del futuro. «Credo che col tempo passeremo alla lettura su supporto digitale, e ve lo dice uno che ama tantissimo i libri». E se, citando Umberto Eco “non si può fare un cucchiaio migliore di un cucchiaio”, va detto che «gli e-book reader sono strumenti progressivamente sempre più comodi, e il passaggio non sarà un danno per i bibliofili: avverrà solo quando l’interfaccia sarà davvero concorrenziale con il libro».
Concorrenziale non significa simile nella forma, ma nell’utilizzo. E il concetto chiave è proprio la comodità: la “forma-libro” presenta dei vantaggi rispetto all’e-book solo in quella che si può definire “lettura rilassata”. Nella “lettura attenta”, quella che richiede di prendere appunti da molte fonti, e nella scrittura, anche quella creativa, il formato digitale ha già vinto. Tanto che «la totalità dei libri a stampa vengono ormai da formato elettronico, sono scritti al computer, poi vengono stampati». Un problema di interfaccia e comodità quindi, su cui Roncaglia lancia un allarme: «Si deve prestare attenzione a questo settore e alla sua evoluzione, anche a livello accademico, per evitare di avere una generazione che scappa dalla forma-libro». Nel mondo digitale ci sono già strumenti avanzati che servono in maniera comoda e funzionale alla fruizione di video e musica, ma non esiste ancora uno strumento digitale che sia paragonabile al lettore mp3 nel settore degli e-book.
Il dibattito a questo punto si amplia: incuriosito da questa manifesta “paura” di non essere al passo coi tempi uno studente, tesista della professoressa Di Natale, chiede un chiarimento a Roncaglia. «La mia paura è legata non alla scomparsa della forma scritta, ma a quella di certe forme evolute della letteratura. La “scrittura per il web” è una scrittura troppo semplificata. Gli studenti chiedono già delle forme testuali diverse dalla forma-libro». Seguono gli interventi dei professori Marano e Granozzi; il primo cita l’esperienza della “Poesia Concreta” per la ricerca di materiali alternativi alla carta, accostandola all’evoluzione tecnologica del touch-screen e delle nuove interfacce che consentono di utilizzare solo il corpo, come l’evoluzione dei videogiochi già mostra. L’intervento del professore Granozzi è invece indotto «dalla moltitudine di spunti che vengono dal dibattito». Il docente si chiede: «Quanto ci manca una disciplina come l’Informatica Umanistica?». Roncaglia, rispondendo, si dice ottimista rispetto alla evoluzione della tecnologia delle interfacce, ma ammette un ritardo storico del mondo accademico nei confronti della sua disciplina. «Se sono ottimista sulle capacità di lettura, non lo sono sulla gestione dei diritti: con i sistemi attuali, complessi, farraginosi e orientati al profitto, se ne va il senso e l’efficacia della tecnologia».
Il paradosso del mondo accademico sembra essere quello di chi «produce utilizzando fondi pubblici – gli stipendi dei professori universitari – e invece inserisce il prodotto in un sistema orientato al profitto». Profitto personale contro condivisione del sapere quindi, con la citazione dell’ormai classico esempio dello «studente che per la tesi di laurea copia da Wikipedia senza citare la fonte». «Il problema non è morale, ma di competenze: chi si laurea con una tesi copiata non le ha acquisite». Wikipedia cita nella “cronologia” le proprie fonti (gli utenti che scrivono liberamente su un argomento) ed è il più grande esempio, funzionante, di condivisione del sapere. «Gli archivi pubblici delle tesi si stanno diffondendo, con grandi vantaggi per gli studiosi, che hanno più facilità a diffondere le proprie scoperte e ad attirare fondi di ricerca». Ma Roncaglia lancia un avvertimento ai “furbi”: «grazie agli archivi si può facilmente trovare un plagio, e si potrebbe arrivare all’annullamento della tesi e del titolo di Laurea, con un’accusa di frode e centinaia di migliaia di euro da pagare all’Università».
Rosa Maria Di Natale riprende il concetto del “copia-incolla” applicandolo al campo del giornalismo. «È un problema sia nelle università che nelle redazioni. È un problema di sostanza, ma non è secondario il discorso etico: non è poi così importante per un tesista saper scrivere bene, ma saper mettere una dietro l’altra le informazioni». Una capacità che i precursori di questo approccio “ibrido” fra informatica e umanistica sapevano ben utilizzare. «Ho dato spazio nel libro agli scrittori per far vedere che l’evoluzione informatica è stata anticipata da loro: Calvino con le sue “Lezioni Americane” su tutti, ma non solo». Quanto all’editoria, la posizione della Di Natale è meno allarmistica: «Non credo che si debbano bypassare le case editrici, perché queste garantiscono la qualità». Il libro elettronico sostituirà il cartaceo quindi? Roncaglia fa notare che «non è vero che una tecnologia sostituisce una precedente, di solito si affianca alla vecchia: il computer ha sostituito la macchina da scrivere, ma questa non ha sostituito la penna biro».