Sono comuni le cose degli amici

L’ho letto tutto d’un fiato questo libro che parla di legami familiari, perdita e amicizia, cercando a lungo la chiave di lettura che collegasse il titolo, la citazione platonica e la trama. Comincio con un’ammissione: non so se ne ho trovato la chiave giusta; perché Le cose degli amici sono comuni di Matteo Nucci, trentanovenne studioso di filosofia antica e giornalista, nella sua trama in superficie chiara e lineare, ha un sottofondo di avvenimenti non detti e sentimenti non espressi che formano la filigrana della sua tessitura solo apparentemente leggera.

Il protagonista del romanzo è Lorenzo, un uomo dall’età imprecisata ma che intuiamo in preda alla confusione della fine dei trent’anni. La vicenda comincia nella casa del padre appena morto, Leonardo; su questa scena transitano co-protagonisti e comparse che interagiscono tutti con il dolore di Lorenzo e il suo smarrimento di fronte al buco creato dalla morte del padre. Un buco non solo affettivo, ma interpretativo: chi era Leonardo? Perché cambiava donna in maniera ossessiva? Cosa è successo tra lui e la madre di Lorenzo tanto tempo prima? Perché Martina, la sorella fragile e impenetrabile, sin dai tempi dell’infanzia capisce cose che il fratello Lorenzo non sa vedere né interpretare? Lorenzo, che ha tradito e poi lasciato la moglie Carolina per un’altra donna, Sara, rubata al suo migliore amico, non sta forse ricalcando le orme del padre? E’ dunque destinato anche lui ad essere sempre solo e insoddisfatto?

Questi interrogativi attraversano la mente di Lorenzo e dei lettori per tutta la durata del romanzo. Intuiamo un protagonista ‘interrotto’, nella sua comunicazione con gli altri e in quella con se stesso. Lorenzo non solo non capisce appieno ciò che gli succede, ma non capisce – o non approfondisce – neppure i moti del suo cuore. Simbolo di questa comunicazione interrotta è il rapporto con tre donne (l’ex moglie Carolina, la nuova compagna Sara, e la madre Giovanna), ad ognuna delle quali è dedicata una delle tre parti in cui si divide il romanzo. Il rapporto con una quarta donna, la sorella Martina, è poi presente in tutte e tre le parti: Martina che capisce e non dice, vorrebbe consigliare e tace, afferma verità che poi subito smentisce.

Nella prima parte del romanzo, che si svolge nel paesaggio della campagna laziale, assistiamo al pas de deux di Lorenzo e Carolina, che la morte di Leonardo sta inaspettatamente riavvicinando. Ma la loro comunicazione è singhiozzante, interrotta dai molteplici riti della veglia funebre e delle convenzioni sociali, negata dalla paura di commettere nuovi errori. Le parole più vere che Lorenzo dirà in quasi tutto il romanzo sono parole mai pronunciate, scritte con lo spersonalizzante mezzo moderno del cellulare. Le sue dichiarazioni d’amore si spezzano in piccoli messaggi frammentati, che vengono continuamente archiviati, ripescati, corretti, cancellati – l’apoteosi della comunicazione desiderata e negata.

Sono messaggi spediti clandestinamente e che fanno da contrappunto sotterraneo a un’altra comunicazione sfasata, quella che avviene (o non avviene) tra Lorenzo e Sara in vacanza in Grecia, dopo il funerale. Lorenzo vuole l’annullamento nella natura del mare e del vento freddo dell’isola, che Sara invece rifugge. Sara si annoia, mentre Lorenzo cerca l’emozione adolescenziale del sesso occasionale o del bagno notturno come scudo agli interrogativi esistenziali. La sfasatura di quest’altra coppia di persone che si sono amate e forse non s’amano più è espressa con molte parole, nessuna delle quali esprime davvero il cuore del problema. Tra molteplici “capisci” e “non capisci” si consuma l’ultima fiamma di un rapporto che intuiamo alla fine, ma che non sapremo mai come finirà.

L’interrogativo vero, che Lorenzo non ha mai il coraggio di porsi, è se Sara sia stata una buona ragione per perdere l’amatissimo amico d’infanzia Marco, che Lorenzo ha tradito. Di Marco e Lorenzo che non si vedono più, di questa bellissima comunicazione interrotta, parla l’ultima parte del romanzo. E qui, dopo la campagna laziale e la Grecia ventosa, Matteo Nucci fa finalmente esplodere la sua Roma, immensa e accaldata, sfondo potente dell’ultimo tentativo di Lorenzo di riappropriarsi di parole vere. La Roma del quartiere Prenestino e di Piazza Vittorio, insieme alla madre Giovanna, ‘partoriscono’ la decisione di provare a restaurare questa comunicazione perduta. La conversazione con la madre (fitta anche essa di non detti e di allusioni a un passato mai compreso) è quasi un dialogo platonico, dove Giovanna con gentili ma pressanti domande sortisce l’effetto maieutico su Lorenzo: “Tu hai bisogno di vedere Marco soprattutto, vero?” – “Forse sì.” – “E allora perché non lo chiami?”.

Da questa domanda scaturisce il lunghissimo giro in motorino per una Roma inedita, alla ricerca del contatto perduto con Marco. Forse, nonostante la Repubblica di Platone, “Sono comuni le cose degli amici” non ha niente a che vedere con la condivisione delle donne, che pure è un tema sollevato dalla sottrazione di Sara a Marco. Forse la chiave sta nei capelli lunghi, che Lorenzo e Marco continuano a portare come da ragazzi. In quelle piccole cose condivise che fanno uguali gli amici e che rimangono sempre.

Nella sua personale repubblica dei sentimenti, Lorenzo lascia per un momento da parte gli irrisolti rapporti con le donne della sua vita e torna all’amicizia. Non a caso, la citazione in apertura di libro è anche la conclusione del “Fedro” che, tra le altre cose, tratta della natura dell’amore e dell’importanza della comunicazione diretta come fonte di conoscenza e di innalzamento morale. Un bel libro, scritto con uno stile chiaro e semplice, che fa sperare in altre prove altrettanto belle.

Matteo Nucci, Sono comuni le cose degli amici, Ponte alle Grazie, 2009.


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