Ogni limite ha una pazienza

La recente ‘nota‘ ministeriale sui corsi di laurea merita una ‘nota’ di commento, prevedendo cosa ci aspetta nei prossimi anni nella disgraziata Università italiana. Ne avevamo da tempo sentore e sospetto, leggendo i continui attacchi pseudo-moralizzatori contro l’Università, come se il marcio dell’Italia – che si trova ovunque, compresa certo anche l’accademia – fosse invece concentrato tutto là.

Qualcuno a caldo aveva commentato che questa ‘nota’ di demerito – e quel che ne seguirà sul piano normativo – prepara la condanna a morte dell’Università pubblica: pareva una esagerazione di chi vuole difendere la corporazione accademica, ma leggendo con attenzione, ci accorgiamo che si vuole davvero affossare l’Università, fingendo di volerla invece salvare.

I tragici dati sui danni dell’attuale sistema che supportano la ‘nota’ sembrano essere stati scoperti adesso: mentre è da tempo che segnaliamo questi dati e questi danni, ma nessuno ci ha dato ascolto quando qualcosa si poteva ancora aggiustare.
Dopo la diagnosi di una patologia ben nota, visto che il malato non si decide a guarire, arriva la terapia, che a qualcuno è piaciuta, a me decisamente no, nel metodo e nel merito.

I “requisiti di docenza” (calcolo puramente numerico dei professori e ricercatori di ruolo esistenti per ogni corso di laurea) vengono inaspriti e devono essere posseduti tutti fin dall’avvio del corso, mentre prima potevano essere costruiti in itinere, cosa che le Università serie stavano tentando di fare. Vuol dire che ci vogliono 20 professori già in servizio per ogni corso completo di 3 anni più i 2 di secondo livello (se il corso azzarda ad avere due distinti curriculi ce ne vorrebbero 30). Né avrebbe senso fare il primo livello senza il secondo: gli studenti dopo la laurea triennale dove continuerebbero il loro percorso? O prevediamo dopo il triennio un illusorio sbocco lavorativo in un momento in cui l’occupazione diminuisce per tutti?

Viene introdotta l’impossibilità di conteggiare, in questi requisiti numerici, i nuovi bandi che – sempre dalle Università serie – erano mirati proprio ad aumentare i docenti disponibili in misura adeguata all’offerta: eppure è stato il Ministero stesso a bloccare per anni i concorsi, essendosi inopinatamente accorto che alcuni erano ‘truccati’! Ma se si scopre che ci sono imbrogli, si cerca di fermare chi imbroglia, non si blocca tutto il sistema (chissà se farebbero così per gli appalti…)

Si inserisce un limite drastico ai contratti con specialisti esterni, che invece apportano competenze specifiche e professionali non sempre presenti nella docenza interna.

Regole più severe sono previste relativamente al numero minimo degli studenti iscritti ai corsi di studio: se il corso di fisica o di lettere classiche ha pochi iscritti va abolito, e peggio per lo sviluppo delle scienze che non sono gradite alle masse…

Si penalizzano i curricoli interni ai corsi di laurea, come se fossero un danno e non una utile articolazione professionalizzante dell’offerta formativa; lo stesso per i corsi ‘interclasse’ (comprendenti cioè curricoli che afferiscono a classi di laurea diverse), finora proposti invece come modello di necessaria interdisciplinarità… e chi più ne ha più ne metta contro l’università inefficiente e imbrogliona, che va punita e tenuta a freno come un cavallo pazzo.

Sappiamo bene che la ragione di tutto ciò è il taglio di fondi, come parallelamente avviene per la scuola: due realtà che il potere politico riesce a controllare poco, e dunque considera improduttive.

Ma dopo tante finte moralizzazioni, stavolta la ragione finanziaria per colpire l’Università è addirittura esplicita: “A chiarimento – ammette la nota ministeriale – si fa presente che gli interventi  … che sono più direttamente finalizzati a conseguire una significativa riduzione del numero dei percorsi formativi non essenziali e alla conseguente riduzione della spesa in relazione alle risorse disponibili, troveranno inizialmente applicazione solamente per le Università statali”.

A parte il fatto che diverse università non statali care al Ministero ricevono fondi come le altre, le università private vengono tenute fuori da questo sconquasso con la motivazione che tanto non pesano sui fondi statali… dunque non è il sistema universitario che si vuole sanare e moralizzare, ma solo quello che è finanziato dallo stato (cioè dai cittadini), il resto può fare ciò che vuole, rilasciando però titoli che hanno lo stesso valore legale degli altri!

Chiudere, chiudere, chiudere! è la parola d’ordine del Ministero. Chiudere i corsi, chiudere gli accessi commisurandoli ai requisiti di risorse (uguali peraltro per tutte le situazioni contestuali, anche diversissime tra loro: di tutta l’erba un fascio…).
Personalmente sono stato sempre contrario al numero chiuso, perché non serve a selezionare gli studenti più idonei; il corso da me presieduto è tra i pochi di Psicologia in Italia che resiste ancora a numero aperto. Però se il Ministero ci ricatta alzando sempre più il numero dei docenti necessari, temo che presto il numero chiuso dovremo metterlo anche noi per forza, se non vogliamo chiudere l’intero corso.

E’ paradossale che mentre da più parti si chiede di abolire la programmazione degli accessi – c’è persino chi sollecita una legge al riguardo, e il precedente ministro diceva che “tutti devono avere il diritto di laurearsi” – si deve chiudere tutto il corso se i docenti non sono sufficienti per il numero ‘aperto’ (e bloccando contemporaneamente i nuovi accessi alla docenza, il ricatto è facile).

Dunque, riduciamo i corsi: e i nostri studenti siciliani i cui corsi vengono chiusi li mandiamo – tutti! – a studiare a Padova o a Milano, sedi ‘forti’ e con più docenti? Oppure organizziamo un unico corso per tutta la Sicilia, per gli studenti da Trapani a Portopalo? E i diritti di studio e di ‘libera’ scelta degli studenti e delle famiglie?
Questi diritti si garantiscono con norme che favoriscano l’incremento di docenze – seriamente selezionate, su questo la parte seria dell’accademia è d’accordo! – e di risorse edilizie e di supporto agli studenti e ai ricercatori; e prevedendo non barriere a priori e  standardizzate, ma controlli a posteriori (attraverso l’Agenzia di Valutazione che il Ministero stesso ha creato) sulla utilità o meno dei corsi in base a criteri di qualità e di reale sbocco occupazionale. Esattamente il contrario della soluzione semplicistica di dichiarare ‘essenziali’ i corsi quando hanno molti docenti, quale che sia la loro qualità e competenza specifica, e tagliare come ‘inutili’ gli altri, a prescindere dai contenuti.

Ma le norme per un reale investimento sulla formazione superiore e sulla ricerca non solo mancano, ma nessuno le propone, con la scusa che ‘non ci sono i fondi’: mentre ci sono per finanziare istituzioni di comodo o aziende fallite, o per mandare i nostri militari a morire in Asia. Di conseguenza lo Stato – dopo aver allegramente autorizzato in passato, con ministri di ogni parte politica, corsi a qualunque Ateneo e su qualunque assurdità – adesso penalizza in modo altrettanto generalizzato studenti e docenti con la scusa che tutta l’Università è cattiva e bisogna punirla, o è malata e bisogna… farla morire quanto prima. Mentre andrebbe seriamente risanata, non uccisa.

Spero che gli studenti, unica massa critica ascoltata e temuta, si muovano. Certo, è naturale che quanti sono già iscritti poco interesse abbiano verso il problema delle restrizioni future; anzi, più corsi si chiudono in Italia, meno concorrenti si troveranno sull’affollato treno dell’occupazione. Quelli che ancora si devono iscrivere non sanno neanche cosa li attende – e chi glielo dice? la televisione si occupa di altro – e comunque non costituiscono una forza unitaria di impatto. Potranno solo contestare a posteriori, magari con chi, pur essendo contrario fin dall’inizio, dovrà poi applicare queste norme distruttive del diritto allo studio.

Spero che quante più famiglie capiscano adesso che, in base a ciò che il Ministero sta preparando, nei prossimi anni i loro figli troveranno sempre meno posti per accedere all’Università pubblica, o dovranno ripiegare su corsi che non corrispondono ai loro interessi, o emigrare verso altre sedi. Chiudere occhi e orecchie adesso, “tanto il problema non ci riguarda”, non ci darà più diritto di protestare quando vedremo come finirà il diritto a studiare nelle Università finanziate dallo Stato (cioè da noi stessi).

Capisco che a quale collega filo-ministeriale (ce ne sono) questa mia nota sembrerà l’ulteriore difesa d’ufficio di una Università indifendibile. E’ invece uno sfogo di amarezza per chi tanto ha investito in tempo ed energie a creare e portare avanti corsi di laurea, tra mille difficoltà e carenze di risorse, e si trova ora coinvolto in una generalizzata caccia all’untore, cioè di chi ha portato la peste nella ‘casa della cultura’, senza che mai seriamente si valuti chi ha sbagliato e chi no.
Come diceva Totò, con un gioco di parole apparentemente sbagliato ma che nasconde una profonda verità, “ogni limite ha una pazienza”… e la mia davanti a questo continuo superamento del limite si sta esaurendo. Ho un sogno… che anche per tanti altri possa essere lo stesso.


[Su richiesta dell’autore, il testo è stato aggiornato]

 

*Santo Di Nuovo è professore ordinario di Psicologia presso l’Università di Catania. E’ stato, dal 2001 al 2006, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Catania ed è attualmente Presidente del Corso di laurea Laurea specialistica interfacoltà in Psicologia. Dal 2003 è vice-presidente dell’IRRE (Istituto Regionale di Ricerca Educativa) della Sicilia.


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