Né muse né dee, semplicemente protagoniste

«Voglio mostrarvi dei volti di donne siciliane di cui si sa molto poco. Lo faccio per trasmettervi le sensazioni che ho provato io quando li ho visti per la prima volta. Vi aiuteranno a capire quale valore avrebbe acquisito la storia delle siciliane se fosse stata mai raccontata». Così esordisce Marinella Fiume, docente e scrittrice, nell’incontro, sabato scorso all’auditorium del Monastero dei Benedettini, “Siciliane, da muse ispiratrici a protagoniste di storia”, svoltosi nell’ambito della manifestazione “Il risveglio delle I-Dee”.

Accompagnate dalla voce della scrittrice che, in veste di narratrice, racconta brevemente gli episodi decisivi della loro vita, partono in successione sullo schermo le slides di volti di donne del passato, dall’epoca cristiana a quella moderna. Sant’Agata, patrona di Catania, fustigata, sottoposta al taglio di una mammella e successivamente morta a causa di quelle violenze. Santa Venera, rappresentante la passione di Cristo, riconosciuta da numerosi studiosi come la trasposizione della Santa Parasceva martire. E poi Costanza d’Altavilla, madre di Federico II di Svevia, seguita dalla Baronessa di Carini di cui non si ha che un documento: una lettera del padre indirizzata al re in cui si discolpa dell’uccisione della figlia. E ancora donne vissute tra il 600 e il 700. Come Girolama Lorefice Grimaldi, figlia dei Grimaudo, baroni di Modica. Ma anche le sorelle Turrisi Colonna, Giuseppina e Annetta, di buona famiglia e vicinissime nella vita e nella morte. La patriota Peppa la Cannoniera, messinese. E le intellettuali, come Marilina Caffa, poetessa e sacerdotessa di una loggia massonica democratica, a cui Marinella Fiume ha dedicato 10 anni di studio da cui ha tratto un libro, “Sibilla Arcana”. «Mi ha appassionato la sua storia: prima fidanzata con un altro, poi costretta a forza a sposare un proprietario terriero di Ragusa. Il mio interesse è nato più dall’indignazione per la causa della sua morte: nessuno sborsò duemila lire per pagare un medico di Catania, neanche il suocero a cui fece da cameriera per tutta la vita. E poi fu soprattutto una grande poetessa e allo stato attuale è l’unica che abbia mai scritto poesia massonica solo per iniziati».

Ci sono anche i volti di donne non siciliane, ma trasferitesi in Sicilia per amore. Come Otama Kyohara, pittrice e inauguratrice di una scuola di Liberty a Palermo, chiamatasi dopo Eleonora Ragusa perché sposò uno scultore con cui visse a Siracusa fino alla sua morte. E, andando un po’ indietro nel tempo, Sofonisba Anguissola, cremonese, che fu dapprima ritrattista alla corte di Filippo II di Spagna, e in seguito sposò un nobile siciliano. Fu autrice di numerose tele alcune delle quali sono custodite a Paternò, paese in cui visse.

Ma anche quelli di coloro che si sono distinte per il coraggio dimostrato nell’abbattere i luoghi comuni della società e nel denunciarli. Cecilia Deni, preside e abile conferenziera vissuta a Catania. Elda Pucci, primo sindaco donna che non cedette a compromessi e che per tal motivo sacrificò persino la sua carriera. Livia di Stefani, la prima scrittrice a parlare di mafia nelle sue opere e che per questo dovette allontanarsi dalla sua città, Palermo. E Felicia Bartolotta che ha lottato fino alla morte per far riaprire il processo sulla morte del figlio, Peppino Impastato, ucciso dal boss mafioso di Cinisi, Tano Badalamenti.

E poi donne che hanno perso la vita per la sete di verità e giustizia. Come Francesca Morvillo, moglie del giudice Giovanni Falcone, assassinata insieme al marito per mano mafiosa. Rita Atria che denunciò, aiutata da Paolo Borsellino, il sistema mafioso del suo paese, Partanna, suicidatasi dopo l’uccisione del giudice. E infine Maria Grazia Cutuli, giornalista appassionata, vittima di un attentato terroristico in Afghanistan nel 2001, per la quale la docente non è riuscita a trovare parole, e ce ne sarebbero state tante per descrivere il coraggio e la dedizione dimostrati nello svolgere il suo mestiere anche a costo della vita.

«La maggior parte di loro sono sconosciute perché gli storici non si sono occupati di loro. Alcune vivevano all’ombra del padre o del marito. E solo dopo l’accesso alla scolarizzazione, a molte fu in parte concesso di esercitare le professioni fino ad allora esclusivamente riservate agli uomini» spiega Marinella Fiume.

Sono molte, e poche al contempo, circa 333. Le loro storie sono state raccolte in un dizionario, “Siciliane”, curato dalla stessa scrittrice, nel quale vi sono molti interventi di storici, studiosi di storia della chiesa, giornalisti che hanno voluto raccontare la storia della Sicilia attraverso un punto di vista femminile. «A queste donne se ne stanno aggiungendo via via molte altre, spesso suggeritemi durante le varie presentazioni del libro. Si è innescato una sorta di meccanismo di memoria che probabilmente mi porterà a curare un secondo volume».

Donne che hanno vissuto e sono anche morte per le loro passioni. Donne che hanno avuto il coraggio di esserlo in una terra in cui, fino a poco tempo fa, il loro ruolo era esclusivamente relegato all’interno del focolare domestico. Donne forti «la cui voce è emersa, in qualche modo» conclude la presentatrice Myra Panascia. E che aspettano ancora di farsi ascoltare.


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