I Cas sono parte del sistema di gestione dell'immigrazione. Dovrebbero servire in regime di emergenza e invece ospitano il 72 per cento del flusso. Da 14 mesi il team di Medu offre assistenza alle vittime di torture e ha visitato i 16 centri in provincia di Ragusa. Ne è nato il rapporto Asilo precario
Migranti, l’inadeguatezza dei centri di accoglienza «Poche pratiche d’inclusione e assistenza legale»
Creati dallo Stato due anni fa, per gestire il crescente flusso migratorio, i centri di accoglienza straordinaria (Cas) fanno parte del sistema che ospita centinaia di migliaia di persone sul territorio nazionale. Sarebbero una misura prevista in regime di emergenza, ma in realtà ospitano circa il 72 per cento dei migranti. Una percentuale che di fatto ha trasformato queste realtà nell’asse portante dell’intero settore.
È questo il punto di partenza dell’indagine condotta dallo staff di Medu – Medici per i diritti umani sui Cas in provincia di Ragusa. Durata 14 mesi, ha prodotto, alla fine, la relazione Asilo precario. «Non solo un rapporto indipendente, ma anche una osservazione da dentro – si legge nel documento – frutto dell’esperienza di un’organizzazione umanitaria che ha operato misurandosi con il funzionamento quotidiano di queste strutture». Nonostante il sistema di accoglienza italiano abbia subito delle modifiche nella fase della primissima accoglienza – adattandosi alle linee guida europee – con l’apertura degli hotspot, è immutata la gestione dell’ospitalità nel lungo periodo. E lo dimostrano proprio i Cas.
Secondo l’ancora vigente piano ministeriale, il migrante che ha formulato richiesta di protezione dovrebbe essere ospitato in una struttura dello Sprar, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Quando lo Sprar, in mancanza di posti disponibili, non può accoglierlo, il migrante viene temporaneamente trasferito in un Cas. Un pratica ripetuta, però, in tre casi su quattro.
In Sicilia sono tuttora ospitati all’incirca 12 mila migranti. Di questi, più di 5 mila si trovano all’interno dei 105 Cas. In provincia di Ragusa i centri di questa tipologia sono ben 16. Gli operatori di Medu, nell’ultimo anno, li hanno visitati tutti. Erano impegnati nella loro attività principale: fornire assistenza medica e psicologica ai migranti che hanno subito torture e trattamenti inumani durante le traversate del deserto e del mare. «La presenza continuativa ha permesso di verificare le condizioni di accoglienza e i servizi forniti all’interno delle varie strutture – continua il documento -. Ciò ha permesso di individuare gravi criticità nel sistema Cas».
L’indagine ha portato alla luce condizioni di vita molto precarie: spazi comuni ridottissimi, assenza di riscaldamenti e, in alcuni casi, isolamento dai centri abitati, con molte strutture che si trovano a chilometri dal centro urbano e in assenza di servizi di trasporto. Gli operatori di Medu denunciano inoltre difficoltà d’accesso al servizio sanitario nazionale: «È necessario rendere più snello l’iter per l’iscrizione ed è importante che sia garantita l’assistenza sanitaria anche durante il periodo di attesa››.
Asilo precario denuncia, inoltre, l’esiguo numero di operatori nei vari servizi, alcuni essenziali, che talvolta non vengono neanche erogati. Secondo gli operatori di Medu «la presenza di uno psicologo all’interno del centro può rappresentare un elemento di stabilità e di fiducia». Ed è insufficiente il supporto legale che viene garantita al migrante, perché «gli operatori sono numericamente insufficienti e non adeguatamente formati». Non va meglio, d’altronde, anche sul fronte dei mediatori culturali: in nessuna delle 16 strutture, infatti, «sono fornite le ore d’insegnamento settimanali previste dalle linee guida per lo Sprar».Tutti fattori che determinano, secondo Medu, «una grave carenza di percorsi d’inclusione sociale». A conclusione del rapporto, lo staff sottolinea come sia «anacronistico e inefficiente» pensare di gestire l’accoglienza secondo il criterio dell’emergenza.