Era stato licenziato nel luglio 2014 insieme ad altri 14 colleghi dell'azienda. Ora il giudice del lavoro ha disposto il reintegro di Giuseppe Ferrigno. La decisione, infatti, era stata unilaterale, scavalcando il «controllo sindacale e giurisdizionale». Senza prevedere la possibilità di riutilizzo dei lavoratori in altri siti. Un caso che può far scuola, per gli altri dipendenti e le altre ditte dell'indotto
Raffineria, reintegrato operaio della Riva e Mariani «Abbiamo restituito la dignità a 15 lavoratori gelesi»
«Al di là della soddisfazione personale, ricevere l’abbraccio sincero del lavoratore ti fa tremare il cuore. Unitamente agli altri colleghi, abbiamo restituito la dignità a 15 lavoratori gelesi». È raggiante il commento dell’avvocato Salvatore Incardona postato su Facebook. Con la sentenza numero 232/2015 il giudice del lavoro del tribunale di Gela, Alessandra Bellia, «in accoglimento del ricorso annulla il licenziamento impugnato e per l’effetto condanna la Riva e Mariani group spa alla reintegra di Ferrigno Giuseppe, nel proprio posto di lavoro». Una decisione importante che potrebbe avere un effetto domino sulla sorte degli ex colleghi di Ferrigno, con altre tre cause singole e similari attese entro il 16 luglio, nonché sulle future decisioni delle ditte dell’indotto della Raffineria di Gela.
Cos’era successo? A luglio del 2014, proprio durante le proteste degli operai in seguito alla chiusura degli impianti dell’ormai ex Raffineria, 15 lavoratori della Riva e Mariani, una delle ditte più conosciute all’interno dell’indotto e tra quelle ritenute fino a quel momento più in salute, avevano ricevuto le lettere di licenziamento. Alcuni dei lavoratori erano venuti a conoscenza della notifica durante i presidi allo stabilimento, a impianti fermi e serbatoi pieni per via del blocco dei mezzi. Una coincidenza che era risultata un’amara beffa. Una decisione, quella della Riva e Mariani, che in realtà faceva seguito a una comunicazione avvenuta il 16 aprile. A causa della mancanza di commesse da parte Eni la ditta aveva optato per la risoluzione dei contratti. «Solo che – afferma l’avvocato Incardona – sono stati licenziati 15 lavoratori a Gela e due a Milano, per cui cui la decisione non era più provinciale ma nazionale».
In un primo momento il tribunale aveva dato ragione all’azienda. Ma l’opposizione di Incardona, basata sulla sentenza 70 del 2015 della Corte costituzionale, è stata accolta. Ossia, le esigenze di produzione dell’azienda a livello locale andavano valutate su scala nazionale. Ciò che da tempo chiedevano i lavoratori: ovvero la possibilità di essere trasferiti in qualche altro sito industriale sparso per l’Italia. «Non è stata fatta una comparazione – continua Incardona – nonostante i lavoratori avessero, come accertato dal giudice del lavoro, mansioni fungibili». Non solo. La «manchevolezza – si legge nel dispositivo del tribunale di Gela – comporta così una sostanziale impossibilità di controllo sia in sede sindacale che giurisdizionale». Il giudice ha infine stabilito il pagamento di un risarcimento pari «all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione», nonché al versamento dei contributi previdenziali.