Sicilia ultima nei Livelli essenziali d’assistenza: GIMBE: «Tutela della salute legata al luogo di residenza»

Ancora una volta la Sicilia non raggiunge i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e addirittura peggiora con la perdita di 11 punti, attestandosi così ultima regione di Italia nella prevenzione e terz’ultima nell’area distrettuale/territoriale. Va meglio soltanto nell’area ospedaliera in cui la Sicilia raggiunge 80 punti. A decretare le nuove pagelle relative al 2023 è stato il ministero della Salute, che al Sud salva soltanto la Puglia, la Campania e la Sardegna. Anche la Calabria, che ha fatto un importante salto in avanti (+41 punti), resta comunque sotto i LEA. Sulla gestione sanitaria è molto critica la Fondazione Gimbe, la quale ha denunciato un divario tra Nord e Sud che non accenna a diminuire: «Nel 2023 – commenta il presidente Nino Caltabellotta – su 13 Regioni promosse, solo tre appartengono al Mezzogiorno. La Puglia ha registrato punteggi simili a quelli di alcune Regioni del Nord, mentre Campania e Sardegna si collocano poco al di sopra della sufficienza».

Nel 2023, dunque, solo 13 Regioni risultano adempienti ai LEA, un numero identico a quello del 2022: Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto. In particolare, dal 2022 al 2023 Campania e Sardegna salgono tra le Regioni adempienti, mentre Basilicata e Liguria retrocedono a inadempienti per il mancato raggiungimento della soglia minima in un’area. Rimangono inadempienti per insufficienza in una sola area Calabria, Molise e Provincia Autonoma di Bolzano, mentre Abruzzo, Sicilia e Valle d’Aosta non raggiungono la soglia in due aree.

«Il monitoraggio LEA 2023 – sottolinea ancora Cartabellotta – certifica ancora una volta che la tutela della salute dipende in larga misura dalla Regione di residenza e che la frattura tra il Nord e il Sud del Paese sia più ampia di quanto i numeri lascino intendere. Per questo la Fondazione Gimbe chiede una radicale revisione di Piani di rientro e commissariamenti: strumenti che hanno indubbiamente contribuito a riequilibrare i bilanci regionali, ma che hanno inciso poco sulla qualità dell’assistenza e sulla riduzione dei divari nel nostro Paese».

Un problema non da poco è rappresentato dalle nuove rate del Pnrr che dovrebbero arrivare e sono legate al raggiungimento di alcuni obiettivi, ma risulta difficile pensare che si possano raggiungere entro la fine del 2025. Parliamo della digitalizzazione degli ospedali, del fascicolo elettronico e della telemedicina. Ma anche di Case e Ospedali della Comunità, posti letto in terapia intensiva o semi-intensiva, progetti di ammodernamento della strutture sanitarie, sia in termini di immobili (adeguamento antisismico degli ospedali), sia in termini di grandi apparecchiature.

«Un cittadino siciliano e uno veneto – commenta il presidente Gimbe – non hanno le stesse possibilità di accesso alla propria documentazione clinica. E questo non è accettabile in un Servizio Sanitario Nazionale che si definisce universale». Ciò perché in Sicilia il fascicolo sanitario elettronico è stato attivato solo nel 9 per cento dei casi ed i medici specializzati nel suo utilizzo sono solo il 37 per cento. «Ma la sanità digitale non può essere un’innovazione per pochi: servono investimenti e una governance centralizzata per garantire diritti a tutte le persone indipendentemente dal luogo in cui vivono – conclude Caltabellotta-. Se vogliamo davvero attuare una sanità digitale, i dati devono essere accessibili non solo ai cittadini, ma a tutti i professionisti coinvolti nei percorsi clinico-assistenziali, perché la tecnologia è necessaria, ma non sufficiente».


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