Morto dopo 38 anni di lavoro per Ferrovie a contatto con l’amianto: «Riconosciuto il nesso, anche se fumatore»

«Questa sentenza è un atto di verità e giustizia». Sono le parole dell’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, che per anni ha assistito la vedova di un ex lavoratore catanese di Ferrovie dello Stato (C.F. sono le sue iniziali, rispettando la volontà di privacy della moglie) morto a 65 anni per un tumore al polmone, dopo una vita passata tra le carrozze piene di amianto. Ma anche da fumatore: abitudine che, finora, ha sempre negato qualunque risarcimento. La sentenza è quella con cui la giudice del lavoro Laura Renda del tribunale di Catania ha riconosciuto il nesso causale, nonostante l’uomo fosse un fumatore, tra la patologia e l’esposizione alla fibra killer, condannando l’Inail a risarcire la moglie con 150mila euro. «È importante – aggiunge il legale – che si sia riconosciuto come anche il tumore al polmone di un lavoratore fumatore può avere un’origine professionale». Un riconoscimento giudiziario che arriva dopo quasi un decennio dalla morte dell’uomo che, per 38 anni, ha lavorato in vari stabilimenti di Rfi: prima nel deposito locomotive dell’officina veicoli di Catania, poi nell’ufficio esercizio navigazione di Messina e, infine, in quello di Palermo.

Assunto dal Ferrovie dello Stato nel maggio del 1974 con mansioni di operaio qualificato (aggiustatore meccanico, elettricista e manutentore), diventa presto caposquadra. Nel 2012, ad appena un anno dalla pensione, avverte i primi dolori. La tac – con la successiva biopsia – parla chiaro: «Lesione di significato neoplastico primitivo dell’apice polmonare destro con diametro di quattro centimetri». C’è un tumore al polmone. Per l’uomo comincia il percorso fatto di chemioterapia e radioterapia. Quattro anni dopo, muore per un’insufficienza cardio-respiratoria e un arresto cardiaco. La famiglia, tramite l’avvocato, fa richiesta all’Inail per il riconoscimento della malattia professionale. «La morte non è riconducibile all’evento» è la risposta che arriva dall’ente. Il quale, dopo numerosi solleciti, rigetta la richiesta. I parenti presentano ricorso, allegando anche le relazioni di due medici legali che dimostrano la sussistenza della correlazione tra il decesso e l’esposizione a polveri e fibre di amianto.

E, in effetti, per 37 anni l’uomo si è occupato della riparazione e della manutenzione dei freni delle carrozze di Ferrovie dello Stato, con parti in amianto, e anche del controllo degli apparati elettrici e meccanici del rotabile, con smontaggio e sostituzione delle componenti usurate, con elevata dispersione di polveri e fibre di amianto. Il tutto senza maschere protettive o sistemi di aspirazione. Otto ore lavorative al giorno, per almeno 240 giorni l’anno, il lavoratore le aveva trascorse in un ambiente chiuso con esposizione diretta e indiretta all’amianto. E, inoltre, per almeno cinque ore alla settimana aveva anche indossato dei guanti in amianto, per fare dei lavori evitando il rischio di bruciarsi. Ciononostante, in un primo momento, l’Inail rigetta l’istanza della vedova perché si tratta di un fumatore. Solo che, dai referti medico-legali, si evince come la causa del tipo di cancro di cui l’uomo si è ammalato sia correlabile «con l’avvenuta esposizione al fumo di sigarette e all’asbesto», si legge nella sentenza. Da una parte, quindi, ci sarebbe il vizio del fumo (con circa 20 sigarette al giorno per 40 anni) e, dall’altra, «l’esposizione professionale a fibre di amianto dal 1974 al 2011». Concause per cui l’Inail adesso è stato condannato.

«Ancora oggi, nonostante decine di sentenze, l’Inail continua a negare il nesso – commenta l’avvocato Bonanni – lasciando sole le famiglie in battaglie legali lunghe e dolorose. Questa condanna non è solo un risarcimento economico, ma un riconoscimento umano e morale. Restituisce dignità – sottolinea il presidente dell’Ona – a un uomo che ha lavorato una vita tra polveri invisibili e silenzi colpevoli, e alla sua famiglia che non ha mai smesso di cercare giustizia. Tra l’altro – aggiunge – quella legata all’amianto nelle Ferrovie è una lunga serie di morti silenziose». L’ottavo rapporto ReNaM Inail documenta 795 casi in Italia di mesotelioma nel comparto ferroviario, di cui 153 tra aggiustatori meccanici ed elettricisti. Numeri che, secondo l’Osservatorio nazionale amianto, sarebbero «sottostimati perché – dichiara il legale – non includono altre patologie come asbestosi, tumore della laringe e – come il caso in questione – del polmone. La coibentazione con amianto – denuncia, infine, Bonanni – è stata sistematicamente impiegata nelle locomotive dalla metà degli anni Cinquanta fino agli anni Novanta». E la bonifica, iniziata tardi, si è conclusa soltanto all’inizio degli anni Duemila.


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