Formazione: non applicare la legge 24 è un reato? A Messina sì. E a Palermo?

DALL’INCHIESTA SUI “CORSI D’ORO” DELLA PROVINCIA MESSINESE EMERGE COME IL SETTORE, IN SICILIA, SIA DISCIPLINATO DA UNA LEGGE REGIONALE IGNORATA DAL GOVERNO LOMBARDO E, ADESSO, ANCHE DAL GOVERNO CROCETTA

La formazione professionale in Sicilia non può produrre lucro per gli enti formativi che vi operano. A stabilirlo è la legge regionale n.24 del 6 marzo 1976, disattesa e disapplicata da negli ultimi tre anni dal precedente Governo regionale guidato dall’ex presidente, Raffaele Lombardo, e dall’attuale del governatore Rosario Crocetta. Vicenda ed oggetto di una Class action in itinere e di una mozione presentata all’Assemblea regionale siciliana dal gruppo parlamentare di Forza Italia per la costituzione di una Commissione d’indagine e studio per verificare l’efficacia, l’efficienza e il buon andamento dell’azione amministrativa nel settore della Formazione professionale negli ultimi anni, come previsto dalla citata legge regionale n.24 del 1976.

Questo principio ignorato dalla politica siciliana trova conferma da quanto emerso dall’inchiesta penale della Procura della Repubblica di Messina sul filone d’inchiesta “Formazione d’oro” che ha visto coinvolti gli enti formativi Ancol, Aram e Lumen.

Dai risultati dell’inchiesta, alla quale si è aggiunto anche un procedimento della magistratura amministrativa, emerge in maniera inconfutabile come l’impianto riformatore del settore formativo che ha introdotto le società di capitale nella gestione dell’attività corsuale sia miseramente fallito.

La riforma a colpi di atti amministrativi della formazione professionale, mai incanalata invece in un legittimo iter parlamentare per arrivare d una legge, è stata pensata e fortemente voluta dal Governo Lombardo e dal Partito Democratico che ne governava il settore attraverso le figure di Mario Centorrino, posto alla guida dell’assessorato, e di Ludovico Albert, consulente tecnico di punta del PD torinese e romano.

Quel che è emerso dall’inchiesta penale e dal rapporto della Guardia di Finanza, come riporta stamattina il quotidiano La Repubblica, è la condotta illecita perpetrata attraverso uno schema di società appositamente create e gestite a livello prettamente familiare: società riuscivano a documentare spese relative al noleggio di attrezzature, ai servizi di pulizia dei locali ed agli affitti degli immobili in cui venivano svolti i corsi formazione professionale a prezzi notevolmente superiori a quelli di mercato, così distraendo a proprio vantaggio i fondi loro destinati dalla Regione.

Proprio l’attività giudiziaria, coordinata dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, ha messo in luce una disarmante verità. I tre enti formativi del Messinese, Ancol, Aram e Lumen, non hanno rispettato la disciplina regionale che stabilisce il principio secondo il quale gli enti autorizzati dalla Regione siciliana a svolgere attività formativa non debbono perseguire finalità di lucro. Ed è stata la condotta illecita, difatti, perseguita dai citati tre enti, a far venire meno il requisito della “non lucratività” e la stessa legittimazione a vedersi accreditati fondi pubblici destinati alle attività formative.

Nel filone amministrativo dell’inchiesta è emerso un cospicuo danno erariale. I finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Messina hanno, infatti, segnalato alla Corte dei Conti di Palermo un danno erariale causato, secondo l’accusa, dai tre enti di formazione oggetto dell’indagine per l’indebita percezione di finanziamenti, nel periodo 2006/2011, per un ammontare complessivo di circa quarantasette milioni di euro.

La Guardia di Finanza, per giungere a questo risultato, ha analizzato a fondo la disciplina normativa che regola il settore della Formazione professionale in Sicilia, e specificatamente la legge regionale n.24/76 e successive modifiche ed integrazioni.

Nello specifico, è proprio la citata legge regionale n.24/76, legge ordinamentale e di rango costituzionale per aver superato il vaglio della Corte costituzionale, che alla lettera c) dell’articolo 4 dispone che l’ assessorato regionale del’istruzione e della Formazione professionale attua i corsi e le altre iniziative formative avvalendosi tra gli altri “degli enti giuridicamente riconosciuti o di fatto e delle loro relative forme associative, che abbiano per fine, senza scopo di lucro, la formazione professionale”.

Per tali motivi i finanzieri hanno segnalato alla Corte dei conti di Palermo un danno erariale a carico dell’Aram, per aver percepito indebitamente finanziamenti per circa ventisette milioni di euro e della Lumen, per aver percepito indebitamente finanziamenti per circa tre milioni di euro. Nei confronti di entrambi gli enti è stata richiesta l’adozione della misura cautelare del sequestro conservativo, così da garantire la solvibilità nei confronti dell’erario. Anche nei confronti dell’Ancol, le Fiamme gialle hanno inoltrato apposita informativa alla magistratura contabile contestando per un danno erariale di oltre sedici milioni di euro.

L’inchiesta della magistratura, che ha portato a giudizio la moglie del deputato nazionale PD, Francantonio Genovese, Chiara Schirò, e la consorte dell’ex sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca, Daniela D’Urso, prosegue con un procedimento stralcio che vede indagati i citati esponenti politici ed il deputato all’Assemblea regionale siciliana del PD, Franco Rinaldi, che di Genovese è cognato.

Da questa vicenda emerge con disarmante chiarezza come debba essere la magistratura a far rispettare le leggi in vigore e chi ne ha il ruolo, la Regione siciliana, attraverso i suoi assessorati e specificatamente l’assessorato regionale all’Istruzione e alla Formazione professionale, latita o quel che è peggio agisce disattendendo le norme, ovvero aggirando la legge con provvedimenti amministrativi.

I gravi fatti emersi a Messina confermano come la politica non sempre è al fianco del cittadino. Troppe volte un certo modo di fare politica varca il diritto per calpestare la “cosa pubblica”.

Nella vicenda messinese si può constatare con grande amarezza come si condizionasse il voto speculando sulle provvidenze pubbliche. Infatti, dall’impianto accusatorio fuoriesce un perverso meccanismo secondo cui i citati politici messinesi, Rinaldi per esempio è stato tra i più eletti in termini di consenso alle ultime elezioni regionale del 2012, avrebbero costruito, sul sistema formativo, una vera a proprio “macchina da guerra” per garantirsi il consenso elettorale, come avrebbero confermato anche alcune testimonianze.

Sulla complessa e tortuosa vicenda della mancata applicazione della legge regionale n.24/76 da parte dei Governi Lombardo e Crocetta, che priva la Sicilia della programmazione dell’offerta formativa secondo i canoni previsti dall’impianto normativo regionale, pende la “Class action” amministrativa presentata dal Movimento di difesa del cittadino e assistita dall’avvocato Francesco Menallo e la mozione per la costituzione di una Commissione d’indagine e di studio in materia di formazione professionale come previsto dalla legge regionale n.24/1976 presentata dal gruppo parlamentare di Fi all’Ars.

Sulla “Class action” riportiamo una dichiarazione dell’avvocato Menallo

“Apprendiamo con estremo interesse – ci dice l’avvocato Menallo – che quello che diciamo, scriviamo e sottoscriviamo da tre anni, tanto da esserci meritati una segnalazione da parte dell’ex dirigente generale Albert presso l’Ordine professionale di appartenenza, trova un’autorevole conferma nell’iniziativa della Procura della Repubblica di Messina”.

“Non ci spieghiamo – aggiunge il professionista – come non siano stati ancora attenzionati a Palermo i pagamenti diretti effettuati nei confronti di società di capitali, irregolarmente inserite nei piani formativi dal 2002 ad oggi, sicuramente per importi ben superiori ai 47 milioni di euro rilevati a Messina. Attendiamo che anche a Palermo la giustizia faccia il suo corso, nel frattempo grati ai giudici di Berlino”.

In merito all’iniziativa di Forza Italia sulla costituzione di una Commissione d’indagine sul settore formativo riportiamo il chiarimento del primo firmatario della richiamata mozione, il capogruppo di Fi all’Ars Marco Falcone.

“La Commissione d’indagine che abbiamo proposto oltre a valutare gli obiettivi che il servizio ha raggiunto, la qualità e l’efficienza della spesa, i rapporti tra enti e assessorato regionale alla formazione professionale, a verificare i livelli di occupazione nonché i rapporti giuridici in atto tra enti e lo stesso dipartimento alla formazione professionale, vuole anche fare chiarezza in alcune zone d’ombra che purtroppo in questi ultimi mesi sono emersi, come nel caso dell’inchiesta giudiziaria di Messina. Chiarisco che, la commissione precedente, di cui ho anche fatto parte, fermava la propria indagine al 2008 e l’obiettivo che si poneva era quello di verificare i precedenti rapporti tra gli enti e l’assessorato e le cause del proliferare del personale assunto. Oggi, questa nuova commissione d’indagine, alla luce delle nuove risorse finanziarie che non sono più regionali ma a valenza extra regionale, vuole non soltanto verificare l’ammontare della spesa in questi anni, come abbiamo detto, ma anche porsi come finalità percorsi per la razionalizzazione della spesa e l’ottimizzazione del servizio”.

 

 


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