La ‘politica imprenditrice’ (e le “offerte che non si possono rifiutare”)

Lo spartiacque è il 1992. Tangentopoli segna il passaggio epocale tra il vecchio e il nuovo modo. Non più valigette colme di denaro, da consegnare nelle piazzole autostradali o sotto il tavolo di un anonimo autogrill, ma atti costituti e pacchetti azionari.

La gogna mediatica, a volte ingiusta, cui fu sottoposta buona parte della classe dirigente degli anni ’80 del secolo passato impresse nei codici profondi della politica predatrice un messaggio che non dimenticò mai più. Nel frattempo lo scimmiottamento privo però di etica della democrazia americana condusse alla legge Bassanini, all’introduzione dello spoil system e al ricorso massiccio a forme privatistiche di amministrazione della cosa pubblica.

La tenaglia della paura invece di operare verso una maggiore sobrietà e senso civico nell’amministrare originò una ricerca di nuovi mezzi elusivi per rendere non perseguibile quello che ieri era sindacabile e penalmente rilevante.

Il combinato disposto fornito dai nuovi mezzi giuridici, la caduta dei limiti ai cumuli di incarichi e prebende provocò un afflusso gigantesco di nuovi mezzi alla politica. Per arricchirsi non si doveva più rubare, bastava non storcere troppo il naso. Doppi mandati e incarichi speciali nelle aziende pubbliche e l’irruzione delle nuove modalità provocarono la formazione di una classe nuova che di lì a poco avrebbe preso coscienza di sé e dei suoi mezzi sconfinati.

Nasce da questo humus la politica imprenditrice. Sbigottiti imprenditori vedono sorgere dal nulla gruppi economici che invadono il loro campo di attività. Soggetti che sedevano come rappresentanti delle istituzioni divengono miracolosamente uni e trini e siedono da ambedue i lati del tavolo. Nessun settore è escluso. Quelli dove non ci si deve misurare con il mercato sono i preferiti. E quando non si riesce a costruire reti imprenditoriali autonome si entra a piedi uniti in realtà esistenti con “un’offerta che non si può rifiutare”.

Crolla uno dei capisaldi delle democrazie: la politica come perseguimento del bene comune.

La nuova declinazione del concetto prevede una politica al servizio di se stessa. Il superamento della divisione dei ruoli crea un Moloch parassitario che droga il mercato costringendo gli imprenditori veri, quelli che rischiano, a correre con le braccia legate dietro la schiena, mentre i soggetti privilegiati percorrono con le dita alzate in segno di vittoria ogni tratto, superano ostacoli, rimuovono intoppi. Sanno di vincere e non lo nascondono.

Nel periodo feudale, il Feudatario era proprietario delle terre, amministratore della giustizia, autorità religiosa e padrone dei pochi opifici. Le attività economiche pagavano pesanti pedaggi e nei casi peggiori il dominio era così pervasivo da estendersi anche allo ius primae noctis.

La Sicilia non ha un feudatario, ma è immersa nel pantano di privilegi feudali. Allo strapotere della mafia si aggiunge, a volte si salda, in altre si sostituisce, l’enormità dei vantaggi della politica imprenditrice. E mentre i nuovi leader, eletti per cambiare mirano solo a durare, il pantano si trasforma in sabbie mobili.

In attesa di una bonifica profonda che non si intravede all’orizzonte, le punte più spavalde del sistema sono sotto il cono di luce della magistratura. I fatti di oggi, con gli arresti di Messina, che mettono in luce il rapporto ‘incestuoso’ tra politica e formazione professionale ne sono una drammatica testimonianza. 

Intanto nel Parlamento regionale le potenti lobbies della politica imprenditrice difendono i privilegi, osteggiano la volontà popolare, espressa con milioni di voti referendari (è il caso del referendum che ha sancito il ritorno alla gestione pubblica dell’acqua: ritorno alla gestione pubblica osteggiata da una certa politica), tracciano i confini di nuove riserve di caccia e fermano con la forza dei loro voti la ruota della storia.


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