L’America: italiani, mollate Silvio!

da New York

Negli anni Ottanta, una delle tante giovani americane che si apprestava a imbarcarsi per un volo diretto in Italia per frequentare il semestre di studi all’estero, nel salutare la madre tra abbracci e lacrime, ad un certo punto esclamò: “Oh my God! Mamma, sto andando a studiare in Italia e non so neanche chi sia il capo del governo!”. “Don’t you worry honey (non preoccuparti gioia mia)” rispose affettuosamente la saggia madre della studentessa, “Non ti servirà a niente saperlo. Al momento che l’areo atterrerá a Roma, il capo del governo italiano sará giá cambiato!”.

Questa simpatica storiella che vi ho raccontato, non è una barzelletta, ma è avvenuta ad una allora ventenne studentessa di Boston che poi, qualche anno dopo, ho avuto la fortuna di sposare. Serve raccontarla perché è emblematica del fatto che, per decenni, all’opinione pubblica americana importava proprio un fico secco di sapere il nome del primo ministro italiano.

Le ragioni non erano tanto nella difficoltà di tenere il conto del pallottoliere dei vari governi che si facevano, cadevano e si rifacevano, ma soprattutto perché non si avvertiva alcuna urgenza che un nome o un’altro potesse intaccare in qualche modo la vita degli americani. Bastava assicurarsi che non fosse mai un “red”, un comunista. Questo ovviamente per l’americano medio, non certo per gli analisti della Cia e del Dipartimento di Stato, che invece riempivano le scrivanie dei loro boss con dettagliati rapporti sul significato delle “convergenze parallele” di Moro o le “relazioni pericolose” mediorientali del gatto e la volpe Craxi-Andreotti.

É vero, questi tempi appartengono alla preistoria della Guerra Fredda. Da qualche settimana, invece, i giornali americani, da quelli “mainstream” come il New York Times e Washington Post, a persino i tabloid che si gettano via all’uscita della metropolitana, sono pieni del faccione di Silvio Berlusconi.

Si dimetterá? E quando? E che aspettate a buttarlo fuori? Ci chiedono con apprensione dai vicini di casa alla gestrice della lavaderia coreana.

Tutto questo grande interesse sulle sorti del primo ministro italiano è dovuto alla più classica delle ragioni del cittadino medio americano: la preoccupazione per la salute del proprio portafoglio. Già, da quando gli americani hanno visto il presidente Obama cosí preoccupato per le sorti dell’euro e dell’Europa, e gli opinionisti dei maggiori quotidiani e programmi tv praticamente dire che le sorti della ripresa economica globale dipendono dalla tenuta del debito dell’Italia, gli americani non ci dormono più sopra.

Francamente, l’Italia qui oltreoceano è ancora apprezzata, anzi ammirata moltissimo. Facendo la classifica, tutto quello che è cibo & vino è sempre in testa nell’ammirazione americana, ma subito dopo ci sono la moda, l’opera lirica, l’architettura & design, le automobili sportive (e se Marchionne fa il miracolo magari anche delle utilitarie) e, ovviamente, il fascino da “latin lover” alla Mastroianni della Dolce Vita. Anche la lingua italiana attira gli americani, come annuncia l’ambasciatore Giulio Terzi da Washington, infatti è ormai la lingua straniera europea con la maggiore crescita di studenti ogni anno nelle scuole e nei college americani.

Quindi l’Italia è ormai da parecchi anni “cool” nell’immaginario americano, ma certamente questo successo lo ha avuto nonostante la politica… Infatti, anche prima dell’avvento del mirabolante Silvio Berlusconi, la politica italiana era vista come un “joke”, uno scherzo, insomma qualcosa di non serio da cui non farci mai affidamento.

Poi, con la saga delle avventure del Cavaliere sciupafemmine, in questi ultimi anni era cresciuta una divertita curiosità nel seguire vicende tipo “Rubacuori nipote di Mubarak”. Ma sempre come tema di conversazione leggera per salotti annoiati, insomma si parlava di Berlusconi per ridere e non pensare ai guai di Obama e della crisi economica.

Ma appena gli americani hanno realizzato che le avventure di Silvio focoso (e per loro pure pedofilo), non fossero solo materia per ridere, ma stavano avendo effetti da virus killer sulla salute del loro 401k (è il portafoglio privato di azioni esentasse che alla classe media americana serve al momento di andare in pensione perché col solo “social security” non si campa), il panico li ha assaliti: le sorti della ripresa economica mondiale dipendono da quel buffone di 75 anni? Are you joking? Ma stiamo scherzando? Ripetono persino compassati opinionisti delle maggiori testate Usa.

Quindi, anche l’americano medio aspetta e spera che già l’ora si avvicina delle dimissioni dell’arzillo vecchietto sciupafemmine, senza aver ancora ben realizzato che questo evento, pur assicurando per almeno 24 ore effetti benefici sulle azioni dei loro 401k, è solo il primo atto del lungo dramma intitolato: ma chi governerá l’Italia al posto di Silvio?

Basta leggere la descrizioni che le valorose corrispondenti del “New York Times” Rachel Donadio, Elisabetta Povoledo e Gaia Pianigiani – prima pubblicavano un articolo ogni morte di papa, ora grazie all’attesa per la caduta di Berlusconi le corrispondenti da Roma sono le piú indaffarate – ci fanno dell’opposzione italiana, divisa più che mai tra ex comunisti e populisti, che anche la caduta dell’attuale governo non appare più come la magica soluzione dei problemi.

Insomma l’Italia della politica, che prima non appariva mai sul radar degli americani se non per divertirsi con una storiella come quella raccontata alla mia futura moglie in partenza per Roma, adesso fa tremare e indignare gli americani. “What a mess”, che confusione, dicono scorrendo i siti dei principali giornali. Giá, dato che abbiamo un premier che verrá ricordato anche come il piú grande cacciatore di “escort”, è proprio un gran casino riuscire a capire chi governa l’Italia.

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