Nella legge di stabilità all'Ars c'è un articolo che prevede l'obbligo di abbassare le saracinesche in cinque date rosse sul calendario. Ma è stato stralciato ieri sera. Intanto va avanti lo sciopero indetto dai sindacati, anche se molti oggi e l'1 maggio saranno a lavoro. «La gente non capisce quello che subiscono i dipendenti»
Una norma per chiudere i negozi nei giorni festivi Stop alla proposta in Finanziaria, «incostituzionale»
Centri commerciali aperti, con rare eccezioni, per la giornata del 25 aprile. Va meglio l’1 maggio, quando qualcuno in più invece chiuderà. Tuttavia il mancato riposo per le festività non riguarda ormai soltanto le grandi strutture. Diversi negozi, anche nelle città, preferiscono non chiudere in queste occasioni. Una diatriba che va avanti ormai da anni e che ha trovato spazio, seppur per una breve parentesi, anche nella contestata Finanziaria in discussione in questi giorni all’Assemblea regionale siciliana. Un breve comma infatti prevedeva la chiusura obbligatoria durante le feste. Anche se solo per cinque giorni all’anno. Norma che aveva fatto gioire sindacati e lavoratori, ma che proprio ieri sera è stata cancellata dagli uffici della presidenza dell’Ars, perché tacciata di incostituzionalità.
Il testo recita: «Al fine di tutelare il diritto al riposo, alla salute e al godimento dei diritti civili e religiosi degli operatori del settore – si legge all’articolo 29, comma due – il presidente della Regione, su proposta dell’assessore regionale per le Attività produttive, emana direttive per la definizione della chiusura obbligatoria degli esercizi commerciali per cinque giornate nel corso dell’anno». Proprio su questo tema nelle ultime settimane Cgil, Cisl e Uil hanno indetto uno sciopero a livello regionale per le giornate di Pasquetta, 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno. «La festa non si vende», lo slogan scelto. L’assessore alle Attività produttive Girolamo Turano ha manifestato la volontà di intervenire sulla chiusura obbligatoria e l’articolo inserito in Finanziaria sembrava andare in questa direzione. Ma è arrivato lo stop. Che in effetti sembrerebbe motivato dai precedenti.
Nel 2016, infatti, la Regione Friuli Venezia Giulia ha emanato una legge che prevedeva l’obbligo di chiusura in una decina di giorni festivi, tutti quelli più importanti. Ma un anno dopo la Corte Costituzionale ha accolto il ricorso dei rappresentanti della Grande distribuzione dichiarando la norma incostituzionale. È stata una legge del governo Monti, nel 2012, a liberalizzazione gli orari e i giorni di chiusura nel settore del commercio. Da allora la Consulta si è espressa due volte su questa norma, dichiarandola legittima. Mentre al contrario va contro i principi della Costituzione il tentativo del Friuli (Regione a statuto speciale come la Sicilia) di legiferare su questa materia. Secondi i giudici, il nodo della questione è semplice: la materia della tutela della concorrenza è di competenza esclusiva dello Stato.
Serve dunque che a legiferare su questa materia sia il Parlamento nazionale. In tal senso una proposta era stata presentata dal deputato del Movimento 5 stelle Michele Dell’Orco che imponeva la chiusura di almeno sei giorni festivi durante l’anno. Il ddl è stato approvato alla Camera ma è rimasto bloccato al Senato.
«Il lavoro festivo nel settore del commercio non può esistere – attacca Davide Foti, della Cgil – perché non è certo un servizio pubblico essenziale». La questione è particolarmente sentita in provincia di Catania, dove si concentrano la gran parte dei centri commerciali dell’Isola. Ai piedi dell’Etna oggi tutte le grandi strutture resteranno aperte, a eccezione della Coop, presente con suoi ipermercati alle Zagare, le Ginestre e al Katanè. «Per politica aziendale rimarranno chiusi sia il 25 aprile che l’1 maggio, ma purtroppo è un caso isolato», precisa Giovanni Casa, sindacalista della Uil Turismo, Commercio e Servizi.
Secondo Foti, il problema è politico, ma anche culturale. «La gente che affolla i centri commerciali non capisce quello che subiscono i lavoratori, spesso donne e part-time. Chi è stato assunto dopo la liberalizzazione è obbligato a lavorare quando vuole l’azienda, a chi ha il contratto precedente viene chiesta la disponibilità al lavoro». Ma anche in quest’ultimo caso non fila tutto liscio. «Noi – racconta Giorgia, operatrice nel centro Conforama di Riposto, che rimarrà aperto sia il 25 aprile che l’1 maggio – abbiamo conquistato la possibilità di lavorare su base volontaria nei festivi solo dopo contrattazione. Io credo che le feste vadano vissute in famiglia, spesso sono l’unico momento per stare insieme. Privarsi anche di questo ha contribuito a creare distacchi familiari, perché non ci si incontra mai».
Tra i più giovani le cose sono viste in maniera parzialmente diversa. «A me non pesa lavorare nei festivi – spiega Fabrizio, 28enne che lavora nel centro commerciale Porte di Catania – capisco che per chi ha famiglia è diverso, ma a me va bene così, perché se guardo il lato economico mi conviene, perché pagano di più. E poi ho più tempo libero durante la settimana». Secondo i sindacati però, anche dal punto di vista della retribuzione, negli ultimi anni le cose sono molto peggiorate. «Rispetto a dieci o quindici anni fa – spiega Casa, della Uil – è tutta un’altra cosa: ricordo che il gruppo Rinascente ad esempio pagava una maggiorazione del 230 per cento a chi lavorava nei festivi, oggi il contratto nazionale prevede un aumento del 30 per cento. Le aziende dicono che i fatturati si sono spostati su sabato e domenica, quindi lavorare nei weekend e nei festivi diventa ordinario, e come tale viene trattata anche la retribuzione».