Terra ca nun senti

Buttana di to mà“. Da rimprovero materno ad arte, men che mai lontana dalla sua fonte primordiale: l’ispirazione. Esordisce così Carmen Consoli, la cantantessa catanese, introducendo il folto pubblico di piazza Università in un mondo sanguigno e verace, quello di Rosa Balistreri, preziosa perla del bagaglio culturale ed artistico siciliano, bagaglio talora fin troppo trascurato.

De Andrè sosteneva che il dialetto fosse una vera e propria lingua, non sminuibile. E’ questa la sensazione suscitata dallo spettacolo posto in essere la sera del 31 maggio, in un tepore catanese particolarmente ospitale, quasi anche il clima siciliano portasse i suoi ossequi alla cantante licatese, nata nel 1927 e morta a Palermo nel 1990, ma non a caso fattasi seppellire a Firenze, dove visse gli anni meno peggiori della sua intensa esistenza.
Una vita di dolore e sacrifici quella di Rosa Balistreri, con sofferenze degne di una santa, per lo meno di una “santa della canzone”, che mai avrei ricollegato alla leggerezza delle prime gite scolastiche, di cui la sua “Vitti na crozza” era cavallo di battaglia.
Ad omaggiarla si sono succedute sul palco, in un ritmo non incalzante né lento ma quasi rispettoso dei suoi stessi tempi di vita, artiste di notevole calibro: siciliane, quali Etta Scollo e Rita Botto, specialiste della musica popolare e “sicilianizzate”, quali Giorgia, Ornella Vanoni, Paola Turci e Nada, quasi impeccabili nel fare loro il lato meno ospitale della nostra terra.
E’ stata proprio la Vanoni a spendere qualche parola di commento alla serata, associando metaforicamente la Sicilia ad un fico d’india, spinoso all’esterno, ma assai succoso all’interno; spine cantate – tra le altre – da Marina Rei, interprete di “Mafia e parrini”, brano che rivanga il secolare legame tra criminalità ed ecclesìa. “Mafia e preti si diedero la mano, uno alza la croce, l’altro punta e spara/Uno minaccia l’inferno e l’altro la lupara“. Parole che hanno subito destato nella memoria i recenti arresti di membri della cosca Santapaola in tema di gestione della festa di S. Agata svoltasi lo scorso febbraio a Catania.

L’Etna Orchestra ha fatto da sfondo e sottofondo alla serata, eseguendo brillantemente i brani via via interpretati, tra cui “Olì olì olà”, “Proverbi siciliani”, “Terra ca nun senti” – che ha dato nome alla serata” – e “Rosa canta e cunta”, ballata sanguigna sul potere ed i suoi abusi.
Prepotenze, miserie, bassezze, ma anche amori tormentati, che inesorabilmente condannano alla voglia di morire se anche disillusi.

Questi i temi vissuti e poi cantati, con notevole onestà esistenziale, da Rosa Balistreri, in memoria della quale Emma Dante – anch’ella protagonista della serata – ha scritto un esilarante dialogo dialettale tra lei e la sorella, omaggiandone l’indole forte e ribelle.

Data la forma della serata, in tutto un omaggio, non posso che accodarmi, concludendo con parole non mie, di consapevolezza, rassegnazione e reazione alle ingiustizie.
Rapu li puggnia,cuntu li ita,restu cu suggnu e scurru la vita“…

Antonia Maria Arrabito

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