«Presenze demoniache», «guerre spirituali», torture come «riti di liberazione» e atroci delitti compiuti «in nome di Cristo». Nella strage di Altavilla Milicia tutto sembra ricondurre a un delirio mistico. «Ed è la forma cronica che emerge dalle perizie psichiatriche a Giovanni Barreca», così spiega a MeridioNews il suo avvocato difensore Giancarlo Barracato. Riconosciuto incapace di intendere e di volere dai consulenti nominati dalla procura, era stato trasferito dal carcere in una Rems (una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Poi il tribunale del Riesame aveva annullato l’ordinanza di scarcerazione ammettendo un vizio di mente solo parziale. Adesso, mentre si aspetta la pronuncia della Cassazione sulla sua imputabilità, Barreca è stato rinviato a giudizio dal giudice per le indagini preliminari e tornerà in carcere. «Il rapporto tra psicologia e diritto è sempre più complesso – commenta al nostro giornale il criminologo Roberto Gennaro – Nato quando i disturbi da tenere in considerazione erano pochi, adesso deve affrontarne la prolificazione e i diversi impatti sul comportamento».
Quando a compiere un reato è una persona che potrebbe essere affetta da disturbo di personalità o di comportamento, l’iter diventa contorto. Sono necessarie delle perizie di esperti, ma la psicologia non è una scienza esatta e la prerogativa del giudizio resta al giudice. Altrimenti si finirebbe all’assurdo di sovrapporre la figura dello psicologo o dello psichiatra a quella del giurista. «Quando un disturbo viene riconosciuto al responsabile di un reato – spiega il criminologo – bisogna valutare se e quanto abbia avuto un impatto su quel determinato comportamento». Chi ha compiuto l’azione, anche se affetto da un vizio mentale, era consapevole o cosciente quando ha agito di stare compiendo un reato? Il disturbo, insomma, non è di per sé, un indicatore di irresponsabilità e quindi di non imputabilità. Ma, di contro, punire chi non ha consapevolezza sarebbe ingiusto, al di là del facile giustizialismo che si fa imperante quando si parla di delitti atroci e comportamenti deliranti. «In questi casi, il passaggio complesso per il giudice – sottolinea il criminologo Roberto Gennaro – è proprio valutare il valore dell’azione».
Secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, un delirio è una distorsione nella percezione o nell’interpretazione della realtà. Nel delirio mistico c’è la convinzione di ricevere messaggi diretti da entità divine, spirituali o demoniache, di essere stati scelti per compiere una missione e di essere coinvolti in lotte tra forze del bene e del male, spesso con un ruolo centrale nel conflitto. «In questi casi – spiega l’esperto – per giudicare se l’autore del reato è perseguibile, bisogna valutare se la sua incapacità di intendere e di volere è totale e continua». Posto che la persona agisce perché convinta di essere guidata da una divinità, c’è un momento in cui diventa il lucido esecutore materiale di un disegno religioso oppure no? «In base alla risposta a questa domanda, che dipende dalla discrezionalità del giudice – aggiunge il criminologo Gennaro – si arriva a due soluzioni diametralmente opposte dello stesso caso». Imputabilità o non imputabilità. Come nel caso della strage di Altavilla – per cui sono stati rinviati a giudizio anche Sabrina Fina e Massimo Carandente, e di cui è accusata anche l’altra figlia di Barreca – il delirio mistico più anche essere collettivo. «Quando è condiviso, coinvolge un gruppo di persone che si influenzano a vicenda – spiga – validando e rafforzando reciprocamente le credenze».
Barreca padre e figlia e l’ormai ex coppia di fanatici religiosi sono accusati di avere torturato e ucciso «in esecuzione della volontà di Dio, per allontanare i demoni presenti all’interno del nucleo familiare». «Mia moglie era posseduta. Ho dovuto bruciare il suo corpo in nome di Cristo». È una parte della confessione che l’ex muratore fa a un appuntato dopo essersi chiuso alle spalle la porta della sua villetta in contrada Granatelli. Al di là delle pareti, ornate con frasi della Bibbia, c’è il corpo senza vita del figlio minore (Emmanuel, 4 anni) e quello ancora agonizzante del maggiore (Kevin, 16 anni). Quel che resta del cadavere della moglie Antonella Salamone è già stato sepolto in giardino. Dorme l’altra figlia, che poi racconterà a una marescialla delle torture fisiche durate giorni come un «necessario rito di liberazione per ripulire la casa dai demoni» intervallate da «preghiere in aramaico». Anche Kevin, fino a un certo punto, manda messaggi a un amico in cui parla di una «presenza demoniaca», di una «guerra spirituale» in corso a casa sua, di «mia madre e mio fratello che hanno demoni molto maligni addosso». Fino all’ultimo messaggio: «Metto tutto nelle mani di dio, lui provvederà».
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