Raffinerie Eni: a Gela monta la protesta. Ma i piani della società sono altri

GLI OPERAI MINACCIANO IL BLOCCO DEL METANODOTTO. MA IL CANE A SEI ZAMPE VUOLE DIVENTARE UNA OIL COMPANY. NON A CASO ANCHE IN SICILIA HA FIRMATO UNA INTESA PER NUOVE ESPLORAZIONI NEL NOSTRO MARE.

L’intenzione dell’Eni di ritirare il piano di investimento da 700 milioni di euro per le raffinerie di Gela, al di là dei comprensibili allarmi dei sindacati, non ha sorpreso gli addetti ai lavori. Il settore, infatti, è in crisi da anni. E non a caso, nei piani della società, non ci sarebbe solo l’addio al sito siciliano, ma anche alle altre raffinerie: Taranto, Livorno, Porto Marghera e Priolo (Sr). L’Eni garantirebbe le continuità operativa solo per la raffineria di Sannazzaro (Pavia) e della propria quota del 50% su quella di Milazzo (Messina).

D’altronde, che il settore non sia più appetibile lo dicono da tempo i conti e le previsioni delle compagnie. Eni stima una riduzione del 22% della capacità di raffinazione tra il 2014 e il 2017 (già tra il 2008 e il 2013 è calata del 13%) e una svalutazione degli attivi in bilancio per 600 milioni.

A questo si aggiunga la concorrenza che anche in Sicilia si è fatta feroce: l’ingresso della russa Lukoil, che ha rilevato le raffinerie Isab di Siracusa, avrà certamente avuto un suo peso. La compagnia sovietica, peraltro, raffina pochissimo nell’Isola, importando in gran parte dalla Russia benzine già raffinate che poi distribuisce attraverso la propria rete di stazioni che si sta espandendo notevolmente, non solo nella provincia aretusea.

Un quadro in cui si inserisce anche e, forse, soprattutto, la strategia futura dell’Eni che prevede la trasformazione in una oil company, come le major americane. Per Mediobanca, ad esempio, il gruppo petrolifero sarà più focalizzato sul business esplorazione e produzione. Più barili, più cassa, più utili insomma. Una direttrice gradita agli investitori, che detengono il 70% del capitale che dovrebbe intonarsi anche alle aspirazioni del Tesoro, primo azionista (tramite la Cdp) per le restanti quote e intennzionato comunque a scendere sotto il 25%.

Il cambio di strategia, insomma, è quasi certo. D’altronde come ha scritto Merrill Lynch il 30 giugno «i ritardi nella produzione di idrocarburi e le perdite nella raffinazione potrebbero far mancare a Eni la cassa necessaria a pagare il dividendo”.

Quindi, nonostante le proteste a Gela, dove si minaccia anche di bloccare il metanodottoto “Green Stream”, che trasporta il gas che proviene dalla Libia, difficilmente il Cane a sei zampe, tornerà indietro sui suoi passi.

L’intenzione di trasformarsi in oil company è evidente anche in Sicilia. Dove l’Eni, recentemente, ha firmato un protocollo di intesa con la Regione Siciliana (ci sono anche le firme di Assomineraria, Edison e Irminio) per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio presenti nel Canale di Sicilia.

Non si capisce dunque lo stupore delle istituzioni siciliane, che con la loro firma, hanno comunque avallato un progetto dell’Eni che va nella direzione opposta alla raffinazione.

Ma, tant’è.

Intanto, la protesta monta. Purtroppo in Sicilia, la grave crisi occupazionale, non consente di cogliere il lato positivo del presunto addio dell’Eni, ovvero la fine dello scempio del territorio che negli anni ha portato Gela a detenere il primato di malformazioni neonatali ed altre patologie legate all’inquinamento.

I sindacati, dunque, scalpitano:”Eni torni indietro. La sua decisione è grave perché rimette in discussione la politica energetica del Paese, non solo in Sicilia dove le ricadute occupazionali della sue scelte rischiano di essere pesantissime. Non soltanto a Gela. Puntiamo a una larga mobilitazione popolare e a Crocetta diciamo che nella gestione della vicenda deve coinvolgere immediatamente il governo Renzi”. Così Maurizio Bernava, segretario della Cisl Sicilia.

Le federazioni di categoria di Cgil Cisl Uil, Filctem, Femca e Uiltec, hanno chiesto al presidente della Regione un “incontro urgente” per discutere delle iniziative da intraprendere per bloccare i piani di Eni.

Per Michle Pagliaro, segretario della Cgil in Sicilia “sulle raffinerie, Crocetta deve adesso passare dal dibattito con i lavoratori all’azione istituzionale inchiodando l’Eni alle sue responsabilità sugli investimenti su cui ci sono già accordi sottoscritti, che non possono essere cancellati con un colpo di spugna in cambio di vaghe promesse, e sul risanamento ambientale. Per quanto riguarda l’ambiente voglio sottolineare che non siamo disposti ad accettare che al danno si aggiungano le beffe”.

E il sindaco di Gela, Angelo Fasulo, intanto, ha riunito d’urgenza la giunta municipale per fare il punto della situazione alla luce della rottura delle trattative tra sindacati ed Eni, ieri sera, a Roma. “Riteniamo inaccettabili le dichiarazioni dell’amministratore delegato dell’Eni, Descalzi” scrive in una nota il sindaco, secondo il quale l’azienda “smentisce clamorosamente il piano industriale sottoscritto appena lo scorso anno e contraddice ogni accordo siglato presso le sedi istituzionali”.

Ma per la Lukoil la Sicilia potrebbe diventare una grande piattaforma commerciale


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