È stata rigettata dalla Corte d’Assise di Catania la richiesta di una nuova perizia su Martina Patti. La 24enne imputata per avere ucciso – nel giugno del 2022 a Mascalucia – la figlia di quattro anni, Elena Del Pozzo, e per averne occultato il cadavere dopo avere inscenato il rapimento della bambina da parte di un commando armato. Una richiesta che era stata formulata dalla procura, ma che non è stata accolta dalla Corte, che per arrivare alla decisione finale ha, invece, ritenuto sufficienti le consulenze già depositate. Da una parte quella del perito incaricato dalla procura, lo psicologo Roberto Cafiso, dall’altra quella dello psichiatra Antonino Petralia, consulente della difesa.
«Una personalità immatura con disturbo narcisistico e istrionico, con scarsa capacità all’introspezione e una tendenza all’impulsività e a eruzioni emotive». Questa è la descrizione che di Martina Patti ha fatto Cafiso, il quale – con incarico della procura – l’ha incontrata in carcere solo due volte: la prima per un colloquio e la seconda per il test di Rorschach (dieci tavole grafiche con cui si analizza la personalità). Ed è da questi due incontri che lo psicologo ha dedotto «un forte bisogno di consenso» e «problematiche affettive». Dal colloquio con l’imputata, inoltre, sarebbero emersi sentimenti di rancore nei confronti di Alessandro Del Pozzo (l’ex compagno e padre della bambina) e un profondo legame con la sua famiglia di origine. «Mi ha raccontato – ha aggiunto Cafiso quando è stato sentito nel corso di un’udienza del processo – che, quando tutto è venuto fuori, temeva di perdere la fiducia del padre». La persona a cui, comunque, la 24enne confessa l’infanticidio della figlia.
Di «infanticidio altruistico» ha parlato, invece, lo psichiatra Antonino Petralia, l’esperto che da oltre un anno e mezzo incontra periodicamente Martina Patti in carcere. «Sentivo che la mia vita era finita – aveva spiegato la donna nell’aula del tribunale di Catania, dichiarandosi colpevole durante l’interrogatorio – Ero entrata in un tunnel in cui vedevo tutto nero. Pensavo al suicidio, mia figlia la vedevo soffrire e ho creduto che, forse, sarebbe stato meglio che tutte e due ci togliessimo la vita insieme». Sensazioni che per l’imputata sarebbero da attribuire a «un accumulo di tante cose negative che erano successe»: la fine della relazione con il padre di sua figlia, la crisi con Francesco Nicosia – un ragazzo che da poco aveva iniziato a frequentare – la bocciatura a un esame all’Università. Nell’analisi dello psichiatra, sarebbe stato l’insieme di queste cose a portare la donna innanzitutto alla decisione del suicidio. Una scelta a cui subito sarebbe seguita una domanda: «Ma mia figlia con chi resta?», come lei stessa aveva raccontato. Da qui sarebbe arrivata all’«infanticidio altruistico».
La sentenza per Martina Patti è prevista per il mese di settembre. Intanto, la prossima udienza è già stata fissata per lunedì 24 giugno, quando ci sarà la requisitoria del procuratore aggiunto Fabio Scavone e della pubblico ministero Assunta Musella. A prendere la parola sarà anche la legale di parte civile Barbara Ronsivalle. L’udienza successiva, già in programma per il 12 luglio, sarà invece dedicata alla discussione finale degli avvocati difensori dell’imputata, Tommaso Tamburino e Gabriele Celesti.
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