Una messa alla prova con il compito, che sarebbe rimasto solo sulla carta, di svolgere 120 ore di volontariato all’interno del cimitero di Camporeale, piccolo centro agricolo in provincia di Palermo. I protagonisti di questa storia, che allunga i propri tentacoli fino al mondo della politica, sono due allevatori: i fratelli Giuseppe e Pietro Bologna, entrambi arrestati nei giorni scorsi nell’ambito del blitz antimafia sulla riorganizzazione di Cosa nostra nel mandamento di San Giuseppe Jato, al cui interno ricade anche il territorio di Camporeale. Nell’inchiesta è coinvolto il primo cittadino Luigi Gino Cino, accusato di falso ideologico in atto pubblico proprio per la vicenda che riguarda i fratelli Bologna e la loro messa alla prova al cimitero. Per il sindaco, la procura di Palermo aveva chiesto l’applicazione della misura cautelare ma il giudice Lirio Conti non è stato dello stesso parere. Nelle carte dell’inchiesta, come anticipato, sono diversi i riferimenti al mondo della politica e in particolare alle elezioni a Camporeale del 2022, in cui Cino è stato rieletto sindaco con il 64 per cento dei voti, e alla candidatura dello stesso alle Regionali con la lista Sud chiama Nord di Cateno De Luca.
Secondo i magistrati, in entrambe le competizioni elettorali, il primo cittadino avrebbe ottenuto la sponsorizzazione di alcuni mafiosi locali. Tuttavia, a Cino non è stato contestato il reato di scambio elettorale politico-mafioso perché, secondo il giudice, non è stato provato che conoscesse la mafiosità dei fratelli Bologna. Allo stesso tempo, non ha retto l’ipotesi della corruzione elettorale perché il presunto sostegno alle urne è imputabile ai singoli associati e non all’intera organizzazione mafiosa presente sul territorio. In questa vicenda restano però diverse ombre, sottolineate a più riprese dallo stesso giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza. Il sindaco, in occasione delle Comunali, «si sarebbe rivolto a storici esponenti della famiglia mafiosa di Camporeale», scrive il magistrato. A un mese dalle Regionali, in cui Cino non viene eletto pur raccogliendo molti consensi tra San Giuseppe Jato e Camporeale, viene intercettato un dialogo tra Pietro Bologna e lo stesso sindaco. «Ho bisogno di nuovo di te – diceva il politico all’allevatore – sono candidato alle Regionali». Bologna, a quanto pare senza titubanza, si metteva a disposizione. «Fammi sapere che c’è di bisogno – diceva al sindaco – e io parlo con mio cugino. Qua abbiamo amici da tutte le parti».
Secondo i magistrati, i due allevatori sarebbero stati i referenti del capomafia detenuto di Camporeale, Antonino Sciortino, e del presunto reggente Antonino Scardino. In particolare, Pietro Bologna avrebbe svolto anche il ruolo di intermediario per l’acquisto di alcuni terreni ai quali erano interessati degli uomini direttamente collegati all’allora latitante Matteo Messina Denaro. Nei guai però finiscono per un banale furto di energia elettrica, perpetrato nella loro azienda agricola grazie a una calamita che avrebbe sottostimato i consumi del 96 per cento. Nel 2016, i tecnici dell’Enel scoprono tutto e gli contestano un danno che ammonta a quasi 50mila euro. Sei anni dopo per i fratelli scatta la messa alla prova: 120 ore di volontariato spalmate in 12 mesi di lavori socialmente utili all’interno del cimitero.
Secondo i magistrati, però, la messa alla prova sarebbe stata svolta soltanto in minima parte, nonostante le attestazioni delle presenze nel registro. Firme che hanno messo nei guai anche un dipendente comunale, pure lui finito indagato insieme al sindaco. Il 13 aprile del 2022, per esempio, i fratelli Bologna risultano presenti al cimitero ma, nello stesso momento, viene monitorato dagli inquirenti un loro incontro, nella masseria, con due uomini ritenuti appartenenti alla famiglia mafiosa di Monreale. In un altro periodo, Pietro Bologna risulta presente nonostante la positività al Covid-19 e il conseguente isolamento. Ai due allevatori, almeno in un primo momento, il sindaco avrebbe raccomandato prudenza, così da non fargli fare brutta figura. Al cimitero, intanto, viene detto loro di farsi qualche passeggiata con la zappa in mano. Un modo per mascherare la presenza con una modalità di gestione della cosa pubblica, secondo le accuse, alquanto discutibile. Il sindaco? Per i magistrati sarebbe stato «asservito alle esigenze dei due fratelli». Anche perché la cosa più importante sarebbe stata firmare: l’entrata – solitamente fissata alle 9 ma spesso non rispettata – e l’uscita, a mezzogiorno.
Tra decine di intercettazioni e una relazione finale della messa alla prova, in cui i Bologna vengono descritti come precisi e puntuali nelle mansioni svolte, finisce pure un regalo che Giuseppe Bologna avrebbe fatto al primo cittadino. Un agnellino, da consegnare a casa della madre del sindaco, ma con una precisa indicazione: l’animale avrebbe dovuto essere pulito così da non essere necessario il ricorso a un macellaio e riuscendo, secondo la ricostruzione nelle carte, a mantenere riservato il dono. «Agnellino tenero perché qua solo me lo mangio – diceva a Bologna – pulito lo voglio, perché nemmeno a portarlo dal macellaio». A sponsorizzare il sindaco sarebbe stato anche il reggente Scardino. In un dialogo intercettato dice: «A Gigi dobbiamo votare… Se è il caso e manca l’acqua lui ci paga anche la bonza».
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