Mafia, boss mediatori nella compravendita di terreni «Prima di acquistare, non era meglio che chiedevi?»

All’ombra di Matteo Messina Denaro non succedono soltanto grandi cose. La presenza di Cosa nostra, la si può percepire anche in quelle che altrove sarebbero piccole beghe della vita di tutti i giorni. Da risolvere col dialogo e, alla peggio, con un avvocato. Nell’inchiesta Ermes 3, l’ennesima rivolta nei confronti della fitta rete di uomini di fiducia del latitante di Castelvetrano, non mancano gli esempi. Uno di questi è la vicenda che vede protagonista Leonarda Furnari. La donna è stata indagata per associazione mafiosa dalla Dda di Palermo, accusa per la quale i magistrati hanno chiesto l’arresto. Di avviso diverso, però, è stata la giudice per le indagini preliminari Claudia Rosini, secondo la quale «non sussistono sufficienti elementi per ritenere la intraneità dell’imputata a Cosa nostra». E questo nonostante non possa dirsi che contatti con i mafiosi non ne abbia avuti. A partire dai defunti boss Nino Marotta e Vito Gondola, che per anni l’hanno avuta a cuore. Come una «figlioccia», secondo il pentito Lorenzo Cimarosa, cugino di Messina Denaro. 

Ma chi è Leonarda Furnari? Conosciuta come Nella, la donna oggi ha 36 anni e fa l’allevatrice nei dintorni di Castelvetrano. Un’attività iniziata in punta di piedi ma che è riuscita a diventare solida, grazie – secondo gli inquirenti – anche all’appoggio dei clan. L’imprenditrice infatti tra il 2011 e il 2013 sarebbe stata agevolata da Gondola e Marotta nell’acquisizione di alcuni terreni, costringendo la persona che aveva intrapreso la trattativa con i proprietari a desistere da ogni pretesa. Un’attività di persuasione che sarebbe passata anche dalla convocazione del rivale. Con tanto di preavviso da parte di un mezzo amico: «Un po’ di mali discorsi ci sono, mettiti buono».

Il consiglio non era campato in aria. È la fine di settembre del 2011, quando Gondola viene accompagnato da Antonino Stella in contrada Besi, dove c’è la masseria di Furnari per dirimere la controversia. Ad attenderlo ci sono anche Marotta e Ione Vivona, quest’ultimo indagato. «Dice: “Sono padrone del terreno”», riflette il capomafia ancora in macchina, ragionando sul pensiero dell’imprenditore che stava per accaparrarsi il fondo preteso dalla 36enne. «Ora dico – prosegue Gondola – quando uno si compra un pezzo di terra non sarebbe giusto vedere chi c’è confinante?» Accortezze che vanno oltre alle relazioni di buon vicinato. A spiegarlo al diretto interessato è lo stesso Stella mentre lo porta alla masseria. «Qua di sbagliato c’è innanzitutto l’approccio. A Castelvetrano nessuno sa niente di questo terreno, di quando sei entrato qua. A meno che – ipotizza – non ti hanno dato carta bianca, e bisogna vedere chi sono e se sono in condizione di poterti dare l’ok. Lo zu’ Vito, giustamente, sostiene che in questa zona tu sei un ospite».

Prima di arrivare alla masseria, Stella aggiunge un’ultima riflessione. Quasi da burocrate, anche se i timbri per questo tipo di pratiche non vanno cercati negli uffici pubblici: «Prima di entrare era giusto che prendevi tutti i permessi regolari, dopodiché nessuno avrebbe avuto da ridire». Il faccia a faccia tra Furnari, i capimafia e l’altro pretendente ottiene i risultati sperati. È quest’ultimo a chiarirlo. «Io sono disposto a superare qualsiasi cosa, minchia u zu’ Nino si è scomodato (Marotta, ndr)», dice l’imprenditore facendo capire di sapere bene chi fossero i mediatori incontrati alla masseria. Per la gip in questa storia resta acclarata per Furnari l’accusa di estorsione aggravata dall’intervento di uomini di Cosa nostra. Fatti di cui la 36enne potrebbe prossimamente risponderne in tribunale, ma sulla cui cornice la diretta interessata si è già espressa. «La mafia è una filosovia di vita. Sono figlia di un mafioso, sono mafiosa… possono dire quello che vogliono, per me è una filosofia di vita», è il pensiero della donna che, intercettata a fine 2013, rivendica il legame con il genitore. 

Leonarda Furnari, infatti, è figlia di Saverio Furnari, legato della famiglia mafiosa di Castelvetrano. Già braccio destro di Nino Marotta ed esperto di kalashnikov, l’uomo è morto suicida a fine anni Novanta all’interno del carcere di Pianosa. Il suo nome è stato tirato in ballo dal controverso collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara in merito al presunto coinvolgimento di Cosa nostra nell’attentato del 12 maggio 1981 al papa Karol Wojtyla. Secondo Calcara, che a inizio anno è stato arrestato in Liguria per una tentata estorsione al titolare di un ristorante con tanto di video di un topo, Furnari sarebbe stato uno dei due mafiosi arrivati a Roma il giorno dell’attentato con il compito di portare a Milano i due terroristi turchi. In Lombardia, i due attentatori sarebbero dovuti essere uccisi. Alla fine, in seguito all’arresto in flagranza di Ali Ağca, alla stazione Termini si presentò soltanto l’altro complice. Impaurito e ignaro che da lì a poche ore sarebbe stato sotterrato in campagna nei dintorni di Milano. Una storia, la cui veridicità non è mai stata dimostrata. 


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