Long Drink/ La verità, vi prego, sulle stragi

Su qualche giornale spuntano i dati Ads sulla diffusione dei quotidiani cartacei nel nostro Paese. Ci dicono che il Corriere della Sera, a maggio di quest’anno, guadagna il 5 per cento sul mese precedente, toccando le 474 mila copie. Il concorrente per antonomasia di via Solferino, la Repubblica, si ferma a un più 1 per cento con 396 mila copie.

In calo sarebbe Libero, che cede quasi il 5 per cento delle copie (sempre cn riferimento al maggio scoso), scendendo al di sotto delle 100 mila copie. E giù andrebbe anche Il Giornale con un meno 4,7 per cento con 129 mila copie vendute.

Qui arriva la notizia che a noi non convince proprio: il calo dell’1,2 per cento de Il fatto quotidiano, che si attesta su 56 mila copie vendute.

Magari sarà vero, ma a noi il calo della vendita delle copie de Il fatto quotidiano non ci convince affatto. Per un motivo semplice: perché è un giornale che ha il coraggio di scrivere cose che altri non scrivono. E siccome c’è un sacco di gente, in Italia, che vuole leggere le cose che non vengono molto pubblicizzate, ecco che a noi, con rispetto parlando, i conti non tornano.

Già è un successo incredibile che un giornale come Il fatto quotidiano esista e sia in edicola. E sono un grande successo le 56 mila copie che vende. Fare informazione, oggi, in Italia, è difficilissimo. E lo stiamo vedendo con la vicenda della trattativa – anzi delle trattative – tra mafia e Stato.

Siccome stanno venendo fuori verità sgradite, si sta facendo di tutto per nasconderle. E Il fatto quotidiano è una dei pochi giornali in vendita nelle edicole che, su questa vicenda, non sta facendo sconti a nessuno.

L’Italia è un Paese senza verità, diceva Leonardo Sciascia. Dove certe storie si ripetono con una esasperante banalità. Alla fine degli anni ‘80 la parola d’ordine era quella di fare in modo che Giovanni Falcone non andasse a prendere il posto di Antonino Caponnetto alla guida dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. E furono le ‘Istituzioni’ che impedirono a Falcone di andare a dirigere un ufficio importantissimo. Con in testa il Consiglio superiore della magistratura (Csm) dell’epoca.

Ricordiamo questo passaggio tragico della vita del nostro Paese perché, oggi, qualcuno fa finta di non capire che se Falcone fosse andato a dirigere l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo molte storie italiane – giudiziarie e politiche – avrebbero preso un’altra piega.

Invece le cose andarono come andarono. Prima lo strano attentato all’Addaura ordito da “menti raffinatssime” (attentato del quale qualche persona molto ‘acuta’ accusò lo stesso Falcone). Poi la strage di Capaci. Poi la trattativa – o le trattative – tra Stato e mafia. Poi la strage di via D’Amelio. Poi la sparizione dell’agenda rossa di Borsellino. Poi il depistaggio delle indagini su via d’Amelio. E via continuando fino ai nostri giorni.

Non sappiamo se qualcuno nutra la speranza di vedere chiudere Il fatto quotidiano. Ma sappiamo che si sta facendo di tutto per non fare venire fuori la verità sulla trattativa – o sulle trattative – tra Stato e mafia.

La nostra sensazione – e speriamo di non sbagliarci – è che, questa volta, i professionisti dell’occultamento delle verità di Stato, i professionisti dei depistaggi e i professionisti delle commemorazioni ‘coccodrillesche’ rimarranno delusi.

La nostra sensazione è che, questa volta, non finirà come nel 1996, quando con l’insediamento del Governo nazionale di centrosinistra si sperava – alcuni ne erano quasi certi – che si sarebbe finalmente conosciuta la verità sui fatti di Portella delle Ginestre. Così non fu.

Abbiamo la sensazione che, questa volta, non finirà come nel 1996.

Trattative Stato-mafia: le verità di Salvatore Borsellino

Foto tratta da lavalledeitempli.net


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