La Sicilia trova nuovi liberatori, ma è ancora in catene

L’ultima tornata amministrativa in Sicilia è stata all’insegna delle novità. Ragusa e Messina hanno eletto due outsider, fuori dai partiti, espressioni di movimenti, canalizzatori dell’indignazione e del rifiuto. A Catania l’uomo di una lontana e mai dimentica primavera è stato plebiscitato al primo turno.

Con diverso percorso anche nell’ottobre dello scorso anno i siciliani hanno elevato allo scranno più alto di Governo un uomo eterodosso, controcorrente, un furente, capace di indignarsi. Esattamente un anno fa Palermo festeggiava insieme al suo Sindaco ritrovato il primo mese di liberazione.

La gente che ha voglia di scrollarsi di dosso la polvere di antiche umiliazioni sceglie i suoi campioni. Li preleva dall’arena e li ricopre delle insegne del comando.

Venti anni fa si compii un analogo miracolo. Al punto più alto del potere mafioso, nella stagione delle bombe, Palermo, Catania e altri centri minori si affidarono a loro liberatori.

I templi delle istituzioni erano bivacco di arroganti manipoli, nei corridoi si praticava la simonia, i diritti erano oggetto di mercanzia, i doveri svenduti come oggetti fuori corso. Quella stagione, non breve, segnò l’inizio di un diverso metodo ma l’aratro del cambiamento ruppe le sue lame appena volle smuovere il compatto e roccioso terreno dei privilegi.

Oggi una classe politico burocratica, barricata nella sua cittadella dei privilegi, non ha più a sufficienza le risorse per placare e sottomettere centinaia di migliaia di uomini e donne. Le muraglie mercenarie franano con fragore e la disperazione popolare prende strade impensate. La Sicilia e cerca e trova nuovi liberatori, ma è ancora, dappertutto, in catene.

Che cosa accade? Perché nuove e vecchie intelligenze che hanno affrontato e vinto la conservazione soccombono nella sfida per il cambiamento? Perché i servizi fondamentali delle città migliorano, ma non mutano? Perché i privilegi sono denunciati, scalfiti, fatti arretrare, ma non eliminati? Come mai, tramontata la fortuna del “salvatore”, tutto torna come prima? Perché i liberatori non riescono ad affrancarsi dalle ”blandizie dei demoni che guardano al passato”?

Spesso perché sono uomini soli o con squadre che non marciano al loro passo. Spesso perché finiscono per preoccuparsi e occuparsi del loro secondo e terzo tempo, dimentichi di essere stati stati eletti per sovvertire non per conservare.. Le catene si allentano, si allungano, danno la sensazione di movimento fino a quando il tramonto del redentore mostra la schiavitù di sempre.

Forse l’indignazione e la rabbia che sospingono a ondate ripetute questi uomini nelle istituzioni, deve proseguire con i molti come protagonisti e non affidarsi al solo campione scelto.

La liberazione è un atto complesso che deve toccare la vita di tutti senza passare come una sferza estiva di acqua temporalesca che lascia il terreno più arido di prima.

 

 


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