La democrazia e' bella perche' ognuno puo' esprimere la propria opinione. Noi, ad esempio, non la pensiamo come l'autore di questo articolo. Anche perche' i soldi di cui si priverebbe non andrebbero al nostro paese, ma ai pescicane della ue: banche, finanza 'truffalda' e spread. E siamo stupiti che uno come lui, che in certi argomenti ne sa piu' di noi, non colga questo passaggio
“Io, ex funzionario dell’Ars, rinuncio a una quota della mia pensione da privilegiato”
LA DEMOCRAZIA E’ BELLA PERCHE’ OGNUNO PUO’ ESPRIMERE LA PROPRIA OPINIONE. NOI, AD ESEMPIO, NON LA PENSIAMO COME L’AUTORE DI QUESTO ARTICOLO. ANCHE PERCHE’ I SOLDI DI CUI SI PRIVEREBBE NON ANDREBBERO AL NOSTRO PAESE, MA AI PESCICANE DELLA UE: BANCHE, FINANZA ‘TRUFFALDA’ E SPREAD. E SIAMO STUPITI CHE UNO COME LUI, CHE IN CERTI ARGOMENTI NE SA PIU’ DI NOI, NON COLGA QUESTO PASSAGGIO
da Livio Ghersi
riceviamo e volentieri pubblichiamo
Gentile Direttore Cariglia,
mi permetto di essere in disaccordo rispetto a quanto Lei ha scritto nell’articolo “E ora in nome dell’emergenza economica un calcio al diritto per le pensioni” (Pensa Libero, 6 gennaio 2014).
Le motivazioni non possono essere circoscritte ad un breve commento. Anche perché in questo caso non sono utili dispute di carattere generale su princìpi astratti, ma serve la concretezza delle storie vissute.
Sono stato un funzionario dell’Assemblea regionale siciliana; questa ha un’Amministrazione propria, distinta da quella della Regione Siciliana, esattamente come la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno propri apparati burocratici serventi, distinti dai dipendenti dello Stato assegnati alla Presidenza del Consiglio ed ai vari Ministeri. La distinzione si traduce in rilevanti differenze sotto ogni profilo: modalità di assunzione (c’è un reclutamento a parte, sempre per pubblico concorso), trattamento normativo, trattamento economico.
Quando, come sindacalista, mi occupai dell’organizzazione del lavoro del personale dell’ARS e del suo trattamento economico, mi resi conto che la regola adottata in Sicilia, in nome della speciale Autonomia statutaria, di parametrare il Parlamento regionale al Senato della Repubblica (anche nel senso di eguale retribuzione dei dipendenti per le qualifiche corrispondenti), portava ad esiti irrazionali sotto molti punti di vista. Strapagare un dirigente non porta ad alcun vantaggio, quando questo dirigente non coordina un numero di dipendenti numericamente adeguato ai compiti di istituto.
Non si diventa dei Superman solo perché si è molto pagati. Fu così che arrivai a dichiarare pubblicamente che, nell’esercizio della sua Autonomia statutaria, l’Assemblea regionale siciliana era sì libera di continuare ad osservare la regola del “parametro con il Senato”, ma che i decisori politici avevano il preciso dovere di valutare le concrete conseguenze economiche, e la sostenibilità nel tempo, di questa scelta. Aggiunsi che il “parametro con il Senato”, applicato a noi (non mi permetto di parlare per i funzionari e gli altri dipendenti del Senato), equivaleva ad un “furto legalizzato”: spendere tanto denaro pubblico per restare comunque inefficienti. Perché l’efficienza dipende anche da certe dotazioni organiche che non ti puoi permettere. L’espressione allora da me usata, «raffinata forma di furto legalizzato ai danni della collettività», si può leggere nel quotidiano “La Repubblica”, cronaca di Palermo, del 4 dicembre 2003.
Ovviamente, non feci carriera, né come sindacalista, né come funzionario, ma in quest’ultimo caso certamente per demeriti miei. Oggi però mi ritrovo ad avere un trattamento pensionistico di assoluto privilegio, che è il portato dei criteri utilizzati per valutare il personale in servizio attivo, ma con l’aggravante che quando si è in pensione non c’è più alcun disagiato orario da compensare.
I liberisti italiani sono ben strani: teorizzano che, pur di raggiungere l’obiettivo di tagliare in modo significativo la spesa pubblica, sia giusto non andare per il sottile quando si tratti di licenziare dipendenti pubblici, o di lasciare interi settori amministrativi cronicamente sotto-organico. Quando poi si discute se sia razionale attribuire un determinato trattamento economico al Capo della Polizia, nel momento in cui non ci sono i soldi per mettere la benzina nelle auto che la stessa Polizia utilizza per i normali servizi di ordine pubblico nel territorio, i medesimi liberisti cominciano a protestare contro la demagogia di siffatte argomentazioni. Si tratta, evidentemente, di un esempio, ma la stessa logica vale ogni qual volta si discuta di normalizzare il trattamento economico dei più alti dirigenti, tanto del settore pubblico, quanto del settore privato.
Come ho avuto modo di scrivere anche in “Pensa libero”, in tempi di grave crisi economica l’argomento dei “diritti quesiti” non vale più. Questi diritti sono stati acquisiti quando altri decisori politici, del tutto irresponsabili, hanno consentito per logiche di lottizzazione dei dipendenti pubblici, di scambio tra protezione politica e politicizzazione dei comportamenti burocratici, che la spesa pubblica crescesse al di fuori di ogni controllo e che dello Stato di Diritto si facesse scempio. Mi è capitato di vedere tra i più convinti sostenitori dei “diritti quesiti”, quanti ho conosciuto come protagonisti negativi dell’asservimento dell’Amministrazione alla politica.
Anch’io credo nell’ideale dello Stato di Diritto, ma, alla luce di quanto avvenuto in Italia negli ultimi cinquant’anni, penso che il massimo di garantismo possibile consista nel non chiedere indietro quanto corrisposto in passato. Rispetto del passato non significa però che questo passato possa continuare a cannibalizzare il presente.
Come pensionato che ha un trattamento privilegiato penso sia giusto rinunciare ad una parte consistente degli emolumenti che attualmente mi vengono corrisposti, affinché queste risorse siano destinate a fini di utilità sociale e, soprattutto, per finanziare politiche attive del lavoro di cui le giovani generazioni possano trarre concreti vantaggi.
Nota a margine
Noi non siamo d’accordo con il nostro amico Livio Ghersi. Per carità: liberissimo di devolvere una parte della sua pensione che – contrariamente a quanto pensa il nostro amico Livio Ghersi – non verrebbe devoluta alle “politiche attive del lavoro” del nostro Paese, ma alle invece molto più “attive” banche e alla finanza speculativa di quella fallimentare e ‘banditesca’ Unione europea che ha intrappolato l’Italia nell’euro.
E dire che parliamo di una persone molto preparata, che conosce meglio di noi cos’è il Fiscal Compact, a cosa è servito e serve il pareggio di bilancio introdotto abusivamente nella notra Costituzione e che sa anche cos’è il Two Pack.
Ora, privarsi di una parte della propria pensione per darla in ‘pasto’ a questa gentaglia a noi sembra una follia. Ma se il desiderio del nostro amico Livio Ghersi è questo, beh, si accomodi pure.
Non siamo assolutamente d’accordo con il nostro amico là dove contesta l’equiparazione dell’Assemblea regionale senato al Senato. Per un motivo semplice: perché la nostra Assemblea regionale siciliana è un Parlamento che non ha nulla in meno dell’Assemblea di Palazzo Madama.
Se Palazzo Madama deciderà di abbassare gli emolumenti dei Senatori e di chi lavora al Senato, l’Ars si adeguerà. Ma che il nostro Parlamento lo debba fare prima per la bella faccia dei massoni falliti e ladri di Bruxelles e di Strasburgo, beh, la cosa non ci convince proprio.
Abbiamo il piacere di conoscere da anni l’amico Livio Ghersi e sappiamo che è uomo di “tenace concetto”. Ma anche noi difendiamo principi: quei principi legati alla nostra Autonomia e al nostro Parlamento che, oggi, ci portano a dissentire dalle tesi del nostro amico.