Il tramonto del Pd, da Roma alla Sicilia

La ‘botta’ assestata dal Movimento 5 stelle di Beppe Grillo è stata forte. Ma loro, i dirigenti del Pd, da Bersani in giù, non sembrano preoccupati. Più che esaminare i segnali che arrivano dall’elettorato e, in generale dalla società, preferiscono guardare ai numeri: cioè al numero di sindaci e amministratori comunali che hanno messo nel ‘carniere’. E si dicono soddisfatti. Lungi da loro analizzare quello che è avvenuto a Parla o a Palermo. O quello che, piano piano, si va diffondendo in tutto il Paese.

Come scrive stamattina il nostro Pasquale Hamel, la gente, nel nostro Paese vuole vedere facce nuove. Mentre il Pd ripropone le stesse facce da venticinque anni o giù di lì. D’Alema, Veltroni, Bersani, Anna Finocchiaro, solo per citare qualche nome di rigorosa provenienza dal vecchio Pci. E Rutelli, Enzo Bianco e quasi tutti gli ex democristiani, per citare i dirigenti che provengono dalla Margherita.

Questi signori – che ancora oggi controllano in modo ‘militare’ il Pd – si dicono “soddisfatti” del recente risultato elettorale. Ed è anche logico: difendono a denti stretti i posti che prima occupavano nel Pci, nel Pds, nei Ds, nella Dc e in altre formazioni politiche della cosiddetta Prima Repubblica; posti che oggi occupano nel Pd.

Dal loro punto di vista hanno pure ragione. Molti di loro – e il riferimento non è soltanto ai professionisti della politica di provenienza comunista, ma anche ad altri – nella vita non hanno fatto nulla oltre vivere di politica. Fuori dai ‘Palazzi’ non saprebbero dove andare e cosa fare. E se nella Prima Repubblica un certo ricambio, nel ceto politico, era bene o male assicurato, nella Seconda Repubblica (che, peraltro, pare sia al crepuscolo) il ricambio è stato bloccato. Soprattutto nel centrosinistra.

Oggi la nomenklatura del Pd gioca in difesa. Cerca di resistere. Resistono Rutelli e Bianco, coinvolti nel ‘caso’ Lusi. Resiste Bersani. Resiste D’Alema. Nessuno vuole mollare. E qualcuno di loro pensa di andarsi a sistemare, tra non molto, alla Presidenza della Repubblica.

In realtà, la crisi investe anche il Pd. Se fino ad oggi è in parte nascosta, è perché la crisi che ha colpito il Pdl è ancora più pesante. Il Cavaliere, che ha resistito a mille intemperie, ha gettato subito la spugna quando i poteri forti – che oggi controllano il nostro Paese – gli hanno fatto capire, senza tanti complimenti, che le sue aziende erano pronte per essere ‘affondate’. Tra la politica e le sue aziende Berlusconi non ha avuto dubbi: ha scelto le seconde.

A questo punto Berlusconi ha lasciato il governo e si è messo da parte. Mollando anche il Pdl che, senza la sua guida (e, soprattutto, senza i suoi soldi) sta franando. Ed è proprio la frana rovinosa del Pdl che dà alla vecchia nomenklatura del Pd l’illusione di una tenuta. Ma non è così. Nei Comuni dove non c’è alternativa, crollando il centrodestra, è inevitabile che a vincere sia il centrosinistra. Ma dove l’alternativa si delinea con chiarezza come a Parma e a Palermo – l’elettorato sceglie senza esitazione il cambiamento.

Il voto dei Comuni è di per sé frammentario, perché risente di fatti locali, che spesso non tengono conto dell’andamento generale della politica. Il discorso cambia in buona parte alle elezioni regionali e muta pressoché totalmente alle elezioni politiche. Dove le alternative – Grillo ma non solo – saranno chiare e visibili. Alle prossime elezioni politiche e, in buona parte, alle regionali, gli elettori avranno l’esatta percezione che il Pd, oggi, è l’ultimo baluardo della vecchia politica ormai in disfacimento.

In Sicilia – e soprattutto a Palermo – questa consapevolezza è ormai una certezza per l’elettorato. Alla Regione il Pd appoggia da quattro anni – all’inizio sottobanco, da tre anni a questa parte in modo palese – il peggiore governo della storia dell’Autonomia. E il nostro è un giudizio ‘tecnico’ e non politico o, peggio, giustizialista.

Non è nostra abitudine giudicare un governo regionale partendo dal fatto che il presidente è inquisito per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato. Di tale questione si occuperanno, per le parti che gli competono, il presidente Raffaele Lombardo e la magistratura. Noi, quando proprio non ne abbiamo potuto fare a meno, abbiamo manifestato i nostri dubbi su tale inchiesta, proprio perché ci sembra un po’ troppo controversa. E, ad ogni modo, non è su tale inchiesta che si fondano le nostre critiche.

Noi abbiamo sempre detto che Lombardo e i suoi assessori non sanno governare. Sono inadeguati e lo dimostrano ogni giorno con atti di governo sbagliati, dannosi per la Sicilia e impopolari. L’ultimo – di due giorni fa – è l’azzeramento dell’esenzione dai ticket sui medicinali. Un provvedimento che colpisce i ceti più deboli. Una vergogna.

Di questo Governo il Pd siciliano è il maggiore ‘azionista’ di riferimento. E la parola ‘azionista’ non la utilizziamo a caso, perché la politica, in Sicilia, è ormai stata del tutto sostituita con gli affari, dalla formazione professionale ai rifiuti, dall’acqua (che ancora è gestita dai privati nonostante il referendum vinti da chi propone la gestione pubblica di tale servizio) alla sanità e via continuando.

Oggi il Pd siciliano – tranne poche eccezioni – è impresentabile. Ieri abbiamo ricordato Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta a vent’anni dalla strage di Capaci. Tra qualche mese ricorderemo Paolo Borsellino e gli uomini e le donne della sua scorta periti nella strage di via D’Amelio.

Ebbene, in un anno simbolicamente così importante i vertici del Pd siciliano- con il sostanziale appoggio della nomenklatura nazionale – non si sono minimamente preoccupati di tendere un ‘agguato’ politico a una persona per bene come Rita Borsellino – che oggi sarebbe il sindaco di Palermo – pur di difendere il Governo regionale di Lombardo. Ancora oggi i vertici regionali di questo partito non si sono resi conto di quanto sia stato grave – soprattutto per i ‘metodi’ che hanno utilizzato – quello che hanno fatto.

Il segnale che arriva da Palermo, con la straordinaria vittoria di Leoluca Orlando, non è solo la voglia dei cittadini di cambiare. E’ anche un messaggio politico lanciato alla politica siciliana dal ‘baricentro’ della politica siciliana.

Se a Roma la nomenklatura del Pd è sul viale del tramonto, qui in Sicilia la dirigenza di questo partito è in buona parte, come già detto, impresentabile. Eppure i protagonisti della disfatta della Regione e di Palermo – a cominciare dal capogruppo del Pd all’Ars, Antonello Cracolici, e dal parlamentare nazionale, Giuseppe Lumia – non mollano. A parte il deputato regionale Davide Faraone, che ha chiesto le loro dimissioni, il resto del partito tace.

La considerazione finale è scontata: non è con questo Pd siciliano che si dovrà pensare a una nuova stagione politica per la Regione siciliana.

 


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La 'botta' assestata dal movimento 5 stelle di beppe grillo è stata forte. Ma loro, i dirigenti del pd, da bersani in giù, non sembrano preoccupati. Più che esaminare i segnali che arrivano dall'elettorato e, in generale dalla società, preferiscono guardare ai numeri: cioè al numero di sindaci e amministratori comunali che hanno messo nel 'carniere'. E si dicono soddisfatti. Lungi da loro analizzare quello che è avvenuto a parla o a palermo. O quello che, piano piano, si va diffondendo in tutto il paese.

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