Il cucchiaio nelle orecchie/ La Sicilia di Presti e Corrao e il dileggio del Circuito del mito

La Sicilia, se vuole cambiarsi pelle, dovrebbe primaditutto liberarsi dalle prefiche, dalle lamentatrici di professione. Elle non perdono occasione – soprattutto se intervistate da Le Monde – di parlare male della Sicilia esattamente con la allucinata perdizione di Linda Blair che sputa crema di pistacchio sulla faccia del prete nel primo Esorcista. Liberarsi dalle prefiche significa accettare un paese diverso. Sulle vie di Damasco ci siamo perduti in tanti, anche un amabile Ricky Tognazzi che da quelle parti e in quelle parti nel film Il Padre e lo straniero è riuscito a raccontare la costruzione di un’amicizia. Se questa premessa è lunga e contorta passo al dunque di un incantesimo che io vivo da siciliano, non preoccupato più di tanto di non riuscire a piazzare i miei possibili cancri. La Sicilia è un suk dove se sai cercare trovi di tutto, se chiedi trovi Sicilia, Nebrodi, Madonie, deserti. Le prefiche chiedono spazi, soldi, tessere di riconoscimento. Invece la Sicilia è stupore, lo dice Antonio Presti che tra Nebrodi, Madonie, librini e deserti ha seminato di artifici briluccicanti il territorio, lo pensava Ludovico Corrao che era riuscito a fare atterrare le astronavi a Gibellina. La Sicilia si ascolta nell’improvvisazione dei suoi poeti, anche quelli bambini ben ammaestrati e poco improvvisatori della Chiesa Madre di Tusa dove ieri Antonio Presti ha organizzato le sue giornate siciliane della poesia, coinvolgendoli insieme a poeti pochino più grandi come Sebastiano Adernò, Maria Attanasio, Milo De Angelis. La Sicilia stupisce, come in fondo stupisce la squadra del Palermo di Zamparini, perché oltre chi la sgoverna ci sono allenatori-manager (non è una parolaccia come non lo era nel rinascimento quella di committente) che navigano controvento. E’ comodo il pubblico dileggio quando si cita la Regione Siciliana, ma il Circuito del Mito dovremmo ripensarlo come una felice esposizione della Sicilia che sa farsi riconoscere anche a dispetto dei sacchetti della netturbe che ne tracciano e indicano gli itinerari.Venite venite giornalisti europei ( ma chi siete?): se la Sicilia ha un correlativo oggettivo è quello che si vede scritto sul vetro appannato della finestra quando ti affacci: non soltanto mare, non soltanto evento, in Sicilia si può essere felicemente siciliani senza eventi e senza giornalisti. Perché il suk di Damasco piace e il suk di Ballarò è solo un ogm politico? Abbiamo sbagliato solo in questo: la Venere di Morgantina deve abitare nel più grande porto, dobbiamo accogliere chi arriva in Sicilia con la nostra erotica Statua della Libertà.


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La sicilia, se vuole cambiarsi pelle, dovrebbe primaditutto liberarsi dalle prefiche, dalle lamentatrici di professione. Elle non perdono occasione - soprattutto se intervistate da le monde – di parlare male della sicilia esattamente con la allucinata perdizione di linda blair che sputa crema di pistacchio sulla faccia del prete nel primo esorcista. Liberarsi dalle prefiche significa accettare un paese diverso. Sulle vie di damasco ci siamo perduti in tanti, anche un amabile ricky tognazzi che da quelle parti e in quelle parti nel film il padre e lo straniero è riuscito a raccontare la costruzione di un’amicizia. Se questa premessa è lunga e contorta passo al dunque di un incantesimo che io vivo da siciliano, non preoccupato più di tanto di non riuscire a piazzare i miei possibili cancri. La sicilia è un suk dove se sai cercare trovi di tutto, se chiedi trovi sicilia, nebrodi, madonie, deserti. Le prefiche chiedono spazi, soldi, tessere di riconoscimento. Invece la sicilia è stupore, lo dice antonio presti che tra nebrodi, madonie, librini e deserti ha seminato di artifici briluccicanti il territorio, lo pensava ludovico corrao che era riuscito a fare atterrare le astronavi a gibellina. La sicilia si ascolta nell’improvvisazione dei suoi poeti, anche quelli bambini ben ammaestrati e poco improvvisatori della chiesa madre di tusa dove ieri antonio presti ha organizzato le sue giornate siciliane della poesia, coinvolgendoli insieme a poeti pochino più grandi come sebastiano adernò, maria attanasio, milo de angelis. La sicilia stupisce, come in fondo stupisce la squadra del palermo di zamparini, perché oltre chi la sgoverna ci sono allenatori-manager (non è una parolaccia come non lo era nel rinascimento quella di committente) che navigano controvento. E’ comodo il pubblico dileggio quando si cita la regione siciliana, ma il circuito del mito dovremmo ripensarlo come una felice esposizione della sicilia che sa farsi riconoscere anche a dispetto dei sacchetti della netturbe che ne tracciano e indicano gli itinerari. Venite venite giornalisti europei ( ma chi siete?): se la sicilia ha un correlativo oggettivo è quello che si vede scritto sul vetro appannato della finestra quando ti affacci: non soltanto mare, non soltanto evento, in sicilia si può essere felicemente siciliani senza eventi e senza giornalisti. Perché il suk di damasco piace e il suk di ballarò è solo un ogm politico? abbiamo sbagliato solo in questo: la venere di morgantina deve abitare nel più grande porto, dobbiamo accogliere chi arriva in sicilia con la nostra erotica statua della libertà.

La sicilia, se vuole cambiarsi pelle, dovrebbe primaditutto liberarsi dalle prefiche, dalle lamentatrici di professione. Elle non perdono occasione - soprattutto se intervistate da le monde – di parlare male della sicilia esattamente con la allucinata perdizione di linda blair che sputa crema di pistacchio sulla faccia del prete nel primo esorcista. Liberarsi dalle prefiche significa accettare un paese diverso. Sulle vie di damasco ci siamo perduti in tanti, anche un amabile ricky tognazzi che da quelle parti e in quelle parti nel film il padre e lo straniero è riuscito a raccontare la costruzione di un’amicizia. Se questa premessa è lunga e contorta passo al dunque di un incantesimo che io vivo da siciliano, non preoccupato più di tanto di non riuscire a piazzare i miei possibili cancri. La sicilia è un suk dove se sai cercare trovi di tutto, se chiedi trovi sicilia, nebrodi, madonie, deserti. Le prefiche chiedono spazi, soldi, tessere di riconoscimento. Invece la sicilia è stupore, lo dice antonio presti che tra nebrodi, madonie, librini e deserti ha seminato di artifici briluccicanti il territorio, lo pensava ludovico corrao che era riuscito a fare atterrare le astronavi a gibellina. La sicilia si ascolta nell’improvvisazione dei suoi poeti, anche quelli bambini ben ammaestrati e poco improvvisatori della chiesa madre di tusa dove ieri antonio presti ha organizzato le sue giornate siciliane della poesia, coinvolgendoli insieme a poeti pochino più grandi come sebastiano adernò, maria attanasio, milo de angelis. La sicilia stupisce, come in fondo stupisce la squadra del palermo di zamparini, perché oltre chi la sgoverna ci sono allenatori-manager (non è una parolaccia come non lo era nel rinascimento quella di committente) che navigano controvento. E’ comodo il pubblico dileggio quando si cita la regione siciliana, ma il circuito del mito dovremmo ripensarlo come una felice esposizione della sicilia che sa farsi riconoscere anche a dispetto dei sacchetti della netturbe che ne tracciano e indicano gli itinerari. Venite venite giornalisti europei ( ma chi siete?): se la sicilia ha un correlativo oggettivo è quello che si vede scritto sul vetro appannato della finestra quando ti affacci: non soltanto mare, non soltanto evento, in sicilia si può essere felicemente siciliani senza eventi e senza giornalisti. Perché il suk di damasco piace e il suk di ballarò è solo un ogm politico? abbiamo sbagliato solo in questo: la venere di morgantina deve abitare nel più grande porto, dobbiamo accogliere chi arriva in sicilia con la nostra erotica statua della libertà.

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