Il romanzo storico dell'autrice palermitana d'adozione è uscito da appena cinque giorni, ma è già destinato a diventare una serie tv e ad essere tradotto in diverse lingue. «Sono tre anni di approfondimento, di scrittura, di riscrittura, di lavoro a testa bassa»
I leoni di Sicilia di Stefania Auci è già un caso letterario «La modernità della storia dei Florio mi ha conquistata»
È uscito solo il sei maggio, ma per I leoni di Sicilia, il romanzo di Stefania Auci che percorre la saga della famiglia Florio, ancor prima dell’esordio sugli scaffali delle librerie, le previsioni erano delle più rosee, con richieste di traduzione in diverse lingue, dall’inglese e all’olandese allo spagnolo e con le basi gettate per una serie tv ispirata al racconto che il libro custodisce. Un premio per il lavoro della scrittrice trapanese ma palermitana d’adozione che, intervistata da MeridioNews, tiene per tutto il tempo il volume stretto tra le braccia, come si trattasse di un bambino. Una sensazione confermata anche quando le viene chiesto se si fosse aspettata il gran parlare che da settimane si fa dell’opera, in questi giorni presentata anche al Salone del libro di Torino. «Difficile da dire – spiega – me l’aspettavo, lo speravo, non so. Credo che alla fine lui – solleva il libro sorridendo ndr – abbia le forze per farsi strada da solo nel mondo».
Una gestazione lunga quella de I leoni di Sicilia, che si completerà con l’uscita di un secondo volume a seguito di quello appena pubblicato, costata alla scrittrice anni di studio: «Sono tre anni di approfondimento, di scrittura, di riscrittura, di lavoro a testa bassa – continua – Il libro è stato scritto con grande impegno, a casa con dei testi di approfondimento, sul web grazie a degli archivi online e sul campo. Ho preso molta polvere e a volte ho rischiato anche delle avventure – ride ndr – non c’è niente che venga regalato nella scrittura». Sforzi che su carta sono tradotti in una eccezionale meticolosità nel descrivere scenari, passaggi storici e anche di personaggi. «Ci sono state diverse mattine che ho trascorso a cercare di ricostruire gli alberi genealogici delle famiglie più importanti di Palermo e non è stata la cosa più semplice, devo essere sincera. Molte volte i personaggi sono imparentati tra loro, spesso portano gli stessi nomi, quindi era molto importante tenere conto delle date e dei matrimoni per capire di chi si stesse parlando. Però è stata una sfida affascinante».
Un romanzo in piena regola I leoni di Sicilia, con una narrazione avvincente e una scrittura scorrevole che catapultano il lettore indietro tra i vicoli della Palermo del 1800. È impossibile, una volta letto il libro, attraversare certi luoghi senza che la mente non corra a Ignazio, Vincenzo, donna Giuseppina, ma anche moltissimi personaggi che spesso nell’immaginario comune sono associati soltanto a nomi di strade e piazze o a monumenti, da Giachery a Daita, passando per Ingham e Bordonaro. «Era il mio scopo – continua Auci – Ho cercato di mantenere il senso di meraviglia il più possibile intatto e forte, proprio per dare la sensazione della bellezza che veniva scoperta. Spesso chi vive in un luogo non si rende conto dell’autentica bellezza di ciò che lo circonda. Ho cercato in questo modo di restituire, soprattutto a Palermo, una città complicata, l’autentica e intima bellezza di una fase storica così delicata e così importante, con una serie di rivoluzioni, di moti, di ribellioni che spesso a scuola si fanno di fretta, passando da una pagina all’altra e invece sono stati dei passaggi fondamentali per la storia della nostra città e in genere per la storia italiana».
Una storia che è anche incredibilmente attuale, con i Florio costretti a pagare il dazio della loro vocazione imprenditoriale in una terra poco incline al cambiamento. Una terra che non accetterà mai completamente loro, originari di Bagnara Calabra, come palermitani, anche a un secolo dal loro arrivo. «Mi ha colpito molto una cosa che ho visto qualche giorno fa alla mostra dedicata a Franca Florio allo stand in via Messina Marine – racconta ancora l’autrice – il titolo di un giornale degli anni ’50 che scriveva “È morta la moglie del nipote del bottegaio” – i Florio avviarono la loro ascesa economica partendo da una bottega di aromi ndr -. Quindi qualcosa ci fa capire che questo preconcetto resisterà per più di cento anni. Si sono sentiti estranei per tutta una serie di motivi: per la provenienza geografica ma anche per l’approccio nei confronti dell’economia. Vincenzo aveva un approccio fortemente imprenditoriale rispetto a un’economia in cui invece era ancora forte il latifondo o comunque la ricchezza intesa come casato, come nobiltà».
Non sono poche le interferenze del tessuto borghese e nobiliare palermitano per tentare di arginare l’ascesa di quella che di generazione in generazione sarà ricordata come una delle famiglie più innovative, ricche e importanti dell’intera storia della Sicilia, tanto che solo verso la fine del libro si sente Vincenzo azzardare un riferimento a «i Florio di Palermo». «Una reticenza nell’accettare il cambiamento e l’innovazione che non solo vale nel rapporto della Sicilia con i Florio – spiega ancora Stefania Auci – ma anche nei confronti di tutti gli altri commercianti stranieri, come nel caso degli Ingham, poi Withaker, che avevano un rapporto di odio e di amore con il popolo. Ancora una volta la storia ritorna su se stessa. Ho trovato la narrazione delle vicende economiche e sociali dei Florio di estrema modernità e questo è forse ciò che mi ha maggiormente conquistata di questa storia. I Florio sono una famiglia forte, particolare, fuori dagli schemi. Ciascuno dei suoi esponenti ha una caratteristica che lo rende unico: Vincenzo ha sicuramente la determinazione; il figlio Ignazio ha la capacità di mediazione, il suo essere così sottile e sarà lui ad adattarsi completamente al modo di vivere e al modo di sentire di Palermo; Ignazio il marito di Franca, invece, era un ottimo promoter». Un’epopea familiare, dunque, ma anche sociale e storica, in una Sicilia ora borbonica, ora sotto la pressione di Napoleone, ora focolaio di moti e rivoluzioni. E poi la pesca del tonno, il mare, gli intrecci con l’Inghilterra, la nascita di quelle che ancora sono alcune tra le più belle e importanti ville di Palermo, tutto in poco più di 400 pagine per quella che può essere definita una delle migliori opere siciliane degli ultimi anni.