Nel puzzle delle candidature, un pezzo di Alternativa popolare punta ad assumere il ruolo di padrone di casa all'interno di un progetto che abbraccerebbe centrodestra e centrosinistra, isolando Lega Nord e Sinistra italiana. Anche se negli ultimi giorni a ricevere più veti è stato proprio l'attuale ministro degli Esteri
Gli alfaniani immaginano la coalizione larghissima «Alleati di Pd e Forza Italia per sconfiggere il M5s»
«È più facile che trovino una sintesi Berlusconi, Renzi e Alfano, che non Armao e Musumeci». È tutta lì, la pazza idea di Francesco Cascio, co-coordinatore regionale che dentro Alternativa Popolare guida la frangia di chi vuole che il partito dell’attuale ministro degli Esteri assuma il ruolo fino a ieri rivendicato dal Pd: tagliare fuori le realtà più estreme – Meloni e Salvini da un lato, Sinistra Italiana dall’altro – e poi puntare a una grande coalizione moderata, in cui ad assumersi l’onere del padrone di casa, in grado di tenere insieme anime politiche profondamente diverse, sia proprio Angelino Alfano. Insomma, la ricetta di Cascio per battere i cinquestelle passa da una coalizione larga, che vada dal «Partito democratico fino a Forza Italia, passando per i centristi e i socialisti, tenendo fede ai valori del Partito popolare europeo».
Sono proprio quei valori l’unico punto di contatto rispetto all’ipotesi caldeggiata invece dal co-coordinatore Giuseppe Castiglione. «Noi – ammette – non abbiamo mai nascosto l’idea che il candidato alla presidenza della Regione debba avere un profilo che metta insieme i valori del Ppe. Sinceramente – aggiunge – non mi pare che Armao possa esprimere una sintesi dei valori dell’area popolare». Il sottosegretario all’Agricoltura ammette che il dialogo col partito Democratico prosegue e che qualsiasi ipotesi di alleanza con Salvini è fuori discussione. «Siamo troppo distanti, noi abbiamo una visione europeista non soltanto a parole, il lavoro portato avanti da La Via, ma anche da Misuraca, lo dimostra nei fatti», sottolinea.
Il punto, secondo Cascio (che alle ultime amministrative a Palermo, in rotta col partito, ha sostenuto la candidatura di Ferrandelli), è che «centrodestra e centrosinistra sono perimetri politici che ormai non ha alcun senso continuare a ricercare. Il mondo – afferma – è cambiato, la geografia politica in Italia si è modificata anche sulla scia della nascita del Movimento 5 Stelle e restare ancorati a vecchi schemi non serve». Non è dello stesso avviso Castiglione, che però tenta di salvare capre e cavoli senza andare in rotta col collega di partito: «Cascio ha un profilo autorevolissimo all’interno del partito e la sua ipotesi sarebbe auspicabile. Ma la politica deve fare i conti con la realtà e una coalizione di quel genere mi pare irrealistica».
Insomma i nomi, secondo Castiglione, sono quelli gia noti: da Giovanni La Via a Giuseppe Lupo o Davide Faraone. «Il nome di Fabrizio Micari – ammette – è tra quelli messi in campo dal Pd, ma qui non è una gara tra chi è salito in cattedra per primo, visti i tanti profili provenienti dal mondo accademico. Tutti partiamo dalla consapevolezza che non serva un uomo solo al comando, ma una coalizione in grado di tornare a parlare di sviluppo, di sburocratizzazione e detassazione».
Ma se gli alfaniani ragionano ponendosi come ago della bilancia appetibile sia per il centrodestra che per il centrosinistra, guardando all’esterno le dichiarazioni degli ultimi giorni non vanno esattamente nella stessa direzione. Da Domenico Scilipoti (FI), giunto in Sicilia per ribadire che la coalizione di destra non può dialogare «con chi ha un’idea di famiglia diametralmente opposta alla nostra», fino a Sinistra Italiana e Mdp, che hanno ribadito il loro «mai in coalizione con Alfano». Proprio a questi ultimi replica a distanza Castiglione: «Conosco la politica della condivisione. Se parliamo di Mdp, non avrei alcuna difficoltà a un dialogo con Capodicasa, Zappulla, Maggio. Ma da Sinistra Italiana siamo distanti esattamente come da Salvini. Quella di Palermo – specifica – è stata una storia a sé, lì c’era un progetto ben definito che ha reso possibile che la diversità diventasse ricchezza. Noi – conclude – per cultura siamo abituati a costruire ponti, non ad alzare muri».